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Ricerca: Alzheimer, con la Pet diagnosi più precoce

Roma, 7 dic. (AdnKronos Salute) – L’uso della Pet permette di arrivare in modo rapido a una diagnosi più chiara e tempestiva dell’Alzheimer e apre orizzonti nuovi per la diagnosi precoce. Lo indica un studio coordinato da Marco Pagani dell’Istituto di scienze e tecnologie della cognizione del Consiglio nazionale delle ricerche (Istc-Cnr), pubblicato sull”European Journal […]

Di Redazione |

Roma, 7 dic. (AdnKronos Salute) – L’uso della Pet permette di arrivare in modo rapido a una diagnosi più chiara e tempestiva dell’Alzheimer e apre orizzonti nuovi per la diagnosi precoce. Lo indica un studio coordinato da Marco Pagani dell’Istituto di scienze e tecnologie della cognizione del Consiglio nazionale delle ricerche (Istc-Cnr), pubblicato sull”European Journal of Nuclear Medicine Molecular Imaging’. L’esame più utilizzato per mettere in evidenza eventuali alterazioni anatomiche ippocampali o corticali caratteristiche della malattia di Alzheimer è la risonanza magnetica, ma in un caso su 5 questa metodica non caratterizza con certezza la natura dello stato patologico e del suo sviluppo.

Pagani, in collaborazione con Fabrizio De Carli dell’Istituto di bioimmagini e fisiologia molecolare (Ibfm-Cnr), con il Dipartimento Ambiente e Salute dell’Istituto superiore di sanità, con il Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Genova e con il Karolinska Hospital di Stoccolma, studia da anni il modo di ottimizzare le analisi dei dati del metabolismo cerebrale attraverso il ricorso a alla tomografia a emissione di positroni, la Pet. E risultati degli studi confermano prestazioni migliori di questa tecnica nella predizione della malattia. Si tratta di una patologia nella maggior parte dei casi preceduta da deficit cognitivo lieve. “In alcuni casi però tale deficit non è dovuto a patologie neurodegenerative ma ad altre cause, ad esempio a uno stato depressivo acuto o cronico. E’ importante dunque già nella fase iniziale avere una diagnosi certa del disturbo e della sua possibile evoluzione, per effettuare i corretti interventi terapeutici e per consentire ai familiari di gestire adeguatamente l’impegnativa assistenza del paziente”, spiega Pagani.

“La Pet, in particolare la Pet cerebrale con fluorodeossiglucosio (Fdg-Pet), una tecnica di neuroimmagini funzionali assai diffusa e disponibile sul territorio nazionale a costi contenuti, è indubbiamente da preferire alla risonanza magnetica per rivelare se il deficit cognitivo sia o no dovuto ad Alzheimer – continua il ricercatore – Inoltre, può aiutare nella valutazione dello stato di progressione delle malattie neurodegenerative”. Il team coordinato da Pagani ha apportato alcune innovazioni per ottimizzare le analisi statistiche dei dati di metabolismo cerebrale tramite questa metodologia. “La novità introdotta dal nostro gruppo multidisciplinare di ricercatori e clinici – precisa – consiste nel segmentare in 90 sezioni l’encefalo, tramite un software disponibile in rete, e accorparle in 20 ‘meta-regioni’ con caratteristiche funzionalmente comuni”.

“L’intensità del segnale in ogni regione, proporzionale alla rispettiva attività metabolica, viene poi analizzata – continua Pagani – con tecniche statistiche avanzate in grado di identificare le regioni che meglio differenziano i gruppi diagnostici. Abbiamo applicato queste metodologie in modo prospettico a un gruppo di pazienti con un livello simile di deficit cognitivo, che in alcuni casi è evoluto in malattia di Alzheimer entro 2-5 anni e in altri casi non è evoluto dopo 7 anni. Grazie a questa tecnica siamo riusciti a identificare nel 93% dei casi i soggetti non successivamente colpiti da questa forma di demenza”.

Questo metodo consente di arrivare in modo rapido a una diagnosi più chiara e tempestiva e apre orizzonti nuovi per la diagnosi precoce. “Alla Pet eseguita alla prima visita con valutazione neuropsicologica, i pazienti che non hanno sviluppato l’Alzheimer mostrano differenze metaboliche minime o nulle rispetto ai soggetti di controllo sani, mentre nelle persone che si sarebbero ammalate le differenze erano accentuate e proporzionali al tempo di decorso della malattia”, evidenzia il ricercatore. “Nel momento in cui la metodologia verrà condivisa – conclude – si potrà creare un database attraverso il quale confrontare gli esami dei pazienti con quelli dei gruppi sani e dei patologici, consentendo ai clinici di effettuare una diagnosi più precisa e di supportare nel modo migliore il malato e chi lo assiste”.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA