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Aborto: la legge compie 40 anni, la storia della 194

Roma, 21 mag. (AdnKronos Salute) – Compie 40 anni la legge sull’aborto, frutto di un’aspra battaglia sociale, politica ed etica. A volere una norma che riconoscesse il diritto per le donne all’interruzione volontaria di gravidanza furono soprattutto i Radicali, appoggiati da altre forze politiche laiche e da realtà sociali. Nacque così la legge del 22 […]

Di Redazione |

Roma, 21 mag. (AdnKronos Salute) – Compie 40 anni la legge sull’aborto, frutto di un’aspra battaglia sociale, politica ed etica. A volere una norma che riconoscesse il diritto per le donne all’interruzione volontaria di gravidanza furono soprattutto i Radicali, appoggiati da altre forze politiche laiche e da realtà sociali. Nacque così la legge del 22 maggio 1978, nota come 194, poi confermata da un referendum nel 1981.

Sino ad allora l’aborto veniva effettuato in modo clandestino e il discrimine era il ceto sociale ed economico: le donne con maggiori possibilità si rivolgevano ai medici cosiddetti ‘cucchiai d’oro’, che facevano pagare esorbitanti parcelle cliniche per l’intervento, oppure a cliniche oltre confine; le meno abbienti si rivolgevano alle ‘mammane’, o a volte ricorrevano da sole a pratiche pericolose (ferri da calza). Non si conosce il numero di donne morte per emorragie e complicanze successive.

Ma quale è il ‘percorso’ che ha portato alla normativa? Nel 1971 la Corte Costituzionale dichiara illegittimo l’articolo 553 del Codice penale che prevedeva come reato la propaganda degli anticoncezionali. Sempre nel ’71, il 7 giugno, viene presentato il primo progetto di legge dai senatori socialisti Banfi, Caleffi, Fenoaltea; a ottobre viene presentato alla Camera, sempre a firma socialista, un altro progetto. Le due proposte non vennero discusse. Tre anni dopo, l’11 febbraio del 1974, in coincidenza con i Patti lateranensi, Loris Fortuna presenta un nuovo progetto su cui convergono l’appoggio del Partito radicale e del Mld (Movimento liberazione della donna). Il 18 febbraio del 1975 la Corte Costituzionale, a seguito di un ricorso presentato dal giudice istruttore presso il Tribunale di Milano, dichiara parzialmente illegittimo l’articolo 546 del Codice penale: veniva riconosciuta la legittimità dell’aborto terapeutico.

Dietro queste spinte, il 29 aprile del 1975 il Parlamento approva la legge 405 per l’istituzione dei consultori familiari, che hanno tra gli scopi la divulgazione dei mezzi contraccettivi.

Tra febbraio e aprile ’75 vengono presentate sei proposte di legge sulla materia; una è quella socialista già presentata. Il 14 febbraio il Pci presenta una proposta che prevede tassativamente i casi in cui è ammessa l’interruzione di gravidanza sino al novantesimo giorno – pericolo di vita, serio pregiudizio per la salute fisica o psichica, possibili malformazioni del nascituro, violenza carnale, incesto – La decisione non spetta alla donna, ma a una Commissione composta da due medici e un assistente sociale nominata dal Consiglio di amministrazione degli ospedali.

La terza proposta è dei Liberali che, il 3 aprile del ’75, chiedono la parziale legalizzazione. L’aborto deve essere motivato da ragioni di necessità grave e obiettiva. Nella proposta repubblicana l’Ivg è consentita per grave pericolo di vita e grave danno per la salute della madre, se è conseguenza di violenza o incesto e se la gravidanza non ha superato le 12 settimane. Le altre due proposte sono del Psdi e della Dc. In quest’ultima l’aborto resta un reato e prevede solo in determinate circostanze la possibilità di concedere alla donna un’attenuante.

Per stimolare e affrettare il Parlamento, il Partito radicale e il Mld, con l’appoggio di Avanguardia operaia, Lotta continua, Pdup e Uil, prendono l’iniziativa di raccogliere le firme per un referendum abrogativo delle norme del Codice penale che vietano l’aborto. L’8 novembre 1975 la Cassazione dichiara valido il numero di firme per il referendum. Se non subentra una nuova legge, le votazioni dovranno tenersi tra il 15 aprile e il 15 giugno 1976.

Inizia la discussione sul testo di legge unificato. Lo scioglimento anticipato delle Camere, decretato dal Presidente della Repubblica Leone, fa slittare automaticamente di 2 anni il referendum che potrà svolgersi solo nella primavera del 1978. Alla riapertura del Parlamento la discussione sulla legge ricomincia da capo. Il testo approvato dalla Camera viene bocciato in commissione al Senato. I partiti laici lo ripresentano immediatamente. Dopo varie polemiche e spaccature, soprattutto sul problema dell’obiezione di coscienza dei medici, il 22 maggio 1978 la 194 è legge, ma non è ancora finita. A maggio del 1981 viene sottoposta a voto referendario, dal quale esce indenne.

Gli italiani furono chiamati a pronunciarsi su due quesiti di segno opposto: da un lato il quesito dei Radicali per l’abrogazione di alcune norme della legge 194 sull’aborto per rendere più libero il ricorso all’interruzione di gravidanza, dall’altro quello del Movimento per la vita che prevedeve l’Abrogazione di alcune norme della legge per restringere i casi di liceità dell’aborto. Si recò alle urne il 79,6% degli aventi diritto al voto. Il ‘No’ ricevette l’88,5% dei consensi in merito alla proposta radicale e il 67,9 % in merito a quella del Mpv.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA