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Tumori: storia di Deborah, così la mia leucemia è scomparsa in 7 mesi

Stoccolma, 15 giu. (AdnKronos Salute) – Dal 7 ottobre 2015 al 17 maggio 2016: in 7 mesi e 10 giorni “il mio cancro è scomparso”, grazie alla combinazione tra un farmaco immunoterapico e un altro che promette di uccidere fino all’ultima cellula la leucemia linfatica cronica (Llc). Deborah Sims, giornalista australiana mamma di 3 bambini, […]

Di Redazione |

Stoccolma, 15 giu. (AdnKronos Salute) – Dal 7 ottobre 2015 al 17 maggio 2016: in 7 mesi e 10 giorni “il mio cancro è scomparso”, grazie alla combinazione tra un farmaco immunoterapico e un altro che promette di uccidere fino all’ultima cellula la leucemia linfatica cronica (Llc). Deborah Sims, giornalista australiana mamma di 3 bambini, ripercorre commossa la sua storia a Stoccolma, in occasione di un incontro promosso da AbbVie, durante il 23esimo Congresso dell’Eha, la European Hematology Association. Un anno e mezzo fa le immagini dei suoi linfonodi ‘ripuliti’ dalla malattia sono rimbalzati sulla stampa internazionale e oggi la donna torna ai giorni in cui faceva la spola fra Melbourne e Londra dove era stata inserita in un trial clinico sul venetoclax, terapia orale ‘chemio-free’ sotto i riflettori del summit per nuovi dati dello studio di fase III Murano.

I risultati sono quelli di una nuova analisi condotta nell’ambito del trial che associa venetoclax con rituximab in pazienti con Llc refrattaria o recidivante, trattandoli per un periodo definito pari a 2 anni: di 121 che hanno raggiunto uno stato di malattia residua minima Mrd non misurabile (su 10 mila cellule del sangue, meno di una), l’83% conserva questa condizione per un tempo mediano di 13,8 mesi. E i tassi di risposta sono consistenti indipendentemente dai fattori di rischio genetici. “Questi dati, insieme ai circa 14 mesi liberi dalla progressione della malattia nei pazienti che hanno mantenuto uno stato Mrd negativo, sono una scoperta incoraggiante”, commenta Peter Hillmen del Leeds Teaching Hospital, Uk, ricercatore del trial che ha confrontato venetoclax più rituximab con la chemio-immunoterapia bendamustina-rituximab, registrando un -81% del rischio di progressione o morte, un tasso di risposta complessivo del 92% contro il 72% e un 40% circa di malati Mrd negativi.

Deborah di combinazione ne ha assunta un’altra, ma con venetoclax la sua leucemia sembra sparita. Almeno al momento: “Ora sono completamente libera, mi sento bene e sono grata alla scienza e agli scienziati”. Soprattutto al presidente eletto dell’Eha John Gribben, Queen Mary University di Londra, che nella capitale inglese l’ha curata al St. Barts Hospital e che oggi riascoltando Deborah non è riuscito a trattenere le lacrime.

Per Deborah la diagnosi è arrivata la settimana prima di Natale, nel 2011 quando aveva 38 anni. La leucemia linfatica cronica, che in genere insorge intorno ai 70, aveva messo anche lei nel 5% di under 40 su cui si accanisce. Prima i suoi medici scelgono l’approccio ‘watch and wait’, senza curarla ma monitorandone le condizioni fino a un eventuale peggioramento che si presenta nel gennaio 2013. La terapia funziona, ma in breve la malattia ritorna. Nel 2015 l’incontro con Gribben a un congresso medico negli Usa e l’ingresso in un trial sperimentale con venetoclax e immunoterapico: non a Melbourne, però, perché la paziente non aveva i requisiti per entrare nel braccio australiano dello studio.

E’ così che Deborah comincia la sua odissea transoceanica, “frequent flyer Melbourne-Londra”. Dopo un primo periodo trascorso in un appartamento vicino al St. Barts Hospital, a risultati ottenuti sono infatti iniziati i controlli: “Ogni mese avanti indietro fra Australia e Gb”, con i bimbi che chiedono perché e i soldi che mancano, e per i quali arriva un aiuto dalla Leukaemia Foundation. Ma c’è il lieto fine e Deborah oggi sorride.

Merito dei “nuovi approcci basati sulla comprensione della biologia della malattia – osserva Gribben – che hanno cambiato radicalmente il modo di trattarla”. Sull’importanza di “capire i meccanismi alla base della patologia” insiste anche Steve Davidsen, vice president Oncology Discovery di AbbVie. Circa 29 mila dipendenti e 22 centri di ricerca e produzione in tutto il mondo, in oncologia l’azienda Usa conta 2 farmaci approvati, 9 designazioni di terapia breakthrough dell’americana Fda, 21 progetti in fase di sviluppo iniziale o preclinico, 3 in fase avanzata e oltre 250 trial clinici in corso.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA