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Sanità: in Usa la rivolta delle ‘town hall’, giù le mani dall’Obamacare

Washington, 23 feb. (AdnKronos Salute) – Ormai il fenomeno ha raggiunto dimensioni tali che non può essere liquidato, come ha fatto Donald Trump, come l’azione di attivisti o, peggio, provocatori pagati. In molti incontri pubblici – le famose “town hall” cuore della democrazia rappresentativa americana – deputati e senatori Gop sono stati messi sotto accusa […]

Di Redazione |

Washington, 23 feb. (AdnKronos Salute) – Ormai il fenomeno ha raggiunto dimensioni tali che non può essere liquidato, come ha fatto Donald Trump, come l’azione di attivisti o, peggio, provocatori pagati. In molti incontri pubblici – le famose “town hall” cuore della democrazia rappresentativa americana – deputati e senatori Gop sono stati messi sotto accusa da elettori arrabbiati per l’agenda di Donald Trump. A cominciare, soprattutto, dal piano di spazzare via l’Obamacare che lascerebbe, solo nel primo anno 18 milioni di americani senza assistenza sanitaria.

“Senza la misura che ora impone alle assicurazioni di coprire anche chi ha malattie pregresse, io morirò”. Con questo intervento di una 25enne affetta dalla sindrome Ehlers-Danlos, che è stata accolta da una standing ovation dalle duemila persone che hanno partecipato alla town hall a Springdale, cittadina dell’Arkansas, è partito un fuoco di fila di domande e proteste contro il senatore di Tom Cotton.

“Lei si impegna oggi ad avere nel sistema che sostituirà l’Obamacare le protezioni per i cittadini dell’Arkansas che, altrimenti, come me moriranno o perderanno la qualità della vita e non potranno cercare di avere la loro parte di sogno americano?”, lo ha incalzato ancora la donna, mentre dal pubblico veniva scandito lo slogan “do your job”, fai il tuo lavoro, contro il repubblicano che ha evitato di dare una risposta vera alla domanda.

Cotton si è trovato in difficoltà anche a rispondere ad un’altra donna che ha parlato del marito malato terminale: “lei si aspetta che noi rimaniamo qui calmi e tranquilli, ma che tipo di assicurazioni è venuto a darci?”. La rabbia degli elettori della cittadina dell’Arkansas – Stato dove Trump a novembre ha vinto con il 60% dei voti il doppio di quelli ottenuti da Hillary Clinton che è stata first lady dello stato tradizionalmente ‘rosso’ – non si è concentrata solo sulla sanità, ma anche sul sessismo del presidente, il suo impero economico e le sue posizioni anti-immigrati.

E del Muro ha parlato un bambino di 7 anni, che si è preoccupato anche della possibilità di togliere i fondi alla ‘tv dei ragazzi’ pubblica: “Donald Trump vuole rendere i messicani non importanti per chi in Arkansas, come me, ama i messicani. E poi sta cancellando i programmi di Pbs kids per costruire il Muro e non dovrebbe farlo”, ha detto il bambino, mentre dal pubblico qualcuno gridava “ascolta la generazione futura”.

A Springdale si è così ripetuto il copione registrato in molte altre ‘town hall’: martedì scorso anche il leader della maggioranza al Senato, Mitch McConnell, è stato messo in difficoltà da un’elettrice che contestava che, nonostante la propaganda di Trump, “i posti di lavoro nelle miniere non stanno tornando in Kentucky” mentre chi vi ha lavorato un tempo ora “è malato e troppo povero per avere l’assicurazione”.

E’ andata peggio a Jeni Ernest, senatrice dell’Iowa, che ha lasciato dopo appena 45 minuti l’incontro, con i cittadini che scandivano la minaccia “Your last term”, il tuo ultimo mandato. Mentre ieri sera Leonard Lance, deputato del New Jersey, ha trovato l’auditorium del community college straripante di oltre mille persone, con altre centinaia rimaste fuori a protestare. “Mettete il Paese prima del partito”, è stato urlato da chi gli chiedeva che repubblicani del Congresso esigano che Trump renda pubblica la sua dichiarazione dei redditi. “Credo che nel pubblico vi fossero veramente elettori, non credo che fossero pagati”, ha ammesso il repubblicano, rivendicando comunque il fatto che “la grande maggioranza dei presenti ha ascoltato le mie risposte”.

E – di fronte alle notizie di altre proteste in Louisiana, Virginia e Tennessee – altri repubblicani sono stati meno ‘coraggiosi’ di Lance ed hanno disertato gli appuntamenti pubblici, preferendo le più sicure ‘conference call’. Per molti osservatori la situazione di queste settimane ricorda molto quella che si determinò nell’estate del 2009, quando gli incontri pubblici organizzati dall’allora amministrazione Obama per illustrare l’allora in fieri riforma sanitaria. Nelle town hall i democratici dovettero fare i conti con le proteste e gli attacchi dei cittadini che costituirono poi la base del nascente movimento dei Tea Party, che con la vittoria alle elezioni di mid term del 2010 segnò l’inizio di quella trasformazione populista ed estremista che, anche contro la stessa volontà dell’establishment tradizionale del Gop, ha prodotto prima il fenomeno e poi la presidenza Trump.

C’è chi, come l’Economist, ha già ipotizzato, con ironia tutta british, il nome “Herbal Tea Party”, con riferimenti alle più politcally correct tisane, per questo movimento di base della sinistra, che sta ponendo all’establishment democratico di fronte ad una difficile scelta. Cioè se cavalcare le proteste – dopo quella oceanica per l’insediamento, i movimenti di base preparano un’altra mobilitazione in occasione del ‘Tax Day” a marzo – adottando il muro contro muro contro un presidente considerato illegittimo e bloccando in ogni modo le sue scelte, a partire dalla conferma del nuovo giudice della Corte Suprema.

Una posizione che vede schierata gli esponenti più liberal, a partire da Elizabeth Warrent. Ma molti democratici, soprattutto la componente ‘centrista’ che ricordiamolo ha espresso un candidato come Clinton contro il movimentista Bernie Sanders, sono restii a farsi dettare dalla piazza la linea, affermando che una linea oltranzista sarebbe controproducente. E forse hanno ben presente il prezzo pagato dal Gop per essersi attaccati al carro movimentista del Tea Party.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA