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Chirurgia: Davide bimbo nato due volte, intervento ‘rischiatutto’ a Milano

Milano, 21 mar. (AdnKronos Salute) – Se ne stava tutto il giorno seduto, a disegnare una vita di bimbo che poteva ormai solo immaginare. Niente corse a perdifiato, calci al pallone all’aria aperta. I giorni di Davide scorrevano così. Il cuore cresciuto all’ombra di un difetto congenito non gli stava più dietro, i suoi piccoli […]

Di Redazione |

Milano, 21 mar. (AdnKronos Salute) – Se ne stava tutto il giorno seduto, a disegnare una vita di bimbo che poteva ormai solo immaginare. Niente corse a perdifiato, calci al pallone all’aria aperta. I giorni di Davide scorrevano così. Il cuore cresciuto all’ombra di un difetto congenito non gli stava più dietro, i suoi piccoli polmoni erano sempre più affaticati. Come un adulto malato, a soli 4 anni. L’epilogo di ogni sforzo: forti bruciori al petto e disperate richieste d’aiuto. Per salvargli la vita, ormai appesa a un filo, sono dovuti scendere in campo tutti gli specialisti del cuore del Policlinico San Donato – cardiologi e cardiochirurghi pediatrici e cardiologi interventisti degli adulti – con un intervento ‘rischiatutto’ in piena emergenza, mai tentato prima in così tenera età e ricorrendo a una tecnica e a strumenti pensati per i grandi. Creatività italiana in sala operatoria.

E ora il team del centro milanese ha intenzione di condividere con la comunità scientifica internazionale i dettagli della strategia ‘inventata’ sul momento per lui, grazie al gioco di squadra. Questa è la favola di Davide, bimbo nato due volte. La prima troppo presto – la mamma era in preeclampsia e ha dovuto affrontare un parto in urgenza alla 28esima settimana – la seconda appena 6 mesi fa, quando il suo cuore ormai fermo ha ripreso a battere.

Era settembre del 2016, il mese in cui Davide compiva 5 anni e Claudia, la mamma, non dimenticherà mai le ore col fiato sospeso, “i movimenti frenetici e la tensione quando è stato necessario attaccare Davide all’Ecmo”, la ‘macchina riposa cuore e polmoni’, “il pollice alzato di uno dei medici che usciva dalla sala operatoria. E alla fine i loro sguardi fiduciosi: li avrò nel cuore per sempre”. Non è stato un percorso facile. “Mi sento invecchiata di 10 anni”, confessa Claudia all’AdnKronos Salute. Anche i camici bianchi del San Donato hanno voluto aspettare a lungo prima di raccontare una storia a lieto fine.

Ma è una realtà che “oggi Davide corre, va in bici, gioca a pallone con il suo papà, ha ripreso a mangiare di gusto. I suoi piatti del cuore: risotto alla milanese e pizza, che prima detestava”, dice la mamma. “Lottatore quando, appena nato, pesava solo 800 grammi. E lottatore 5 anni dopo, in questi mesi difficili”.

Quando il bambino approda al San Donato è in condizioni critiche, spossato da una bassa saturazione d’ossigeno. Ad accoglierlo c’è Gianfranco Butera, cardiologo pediatra, che percepisce “un quadro clinico piuttosto raro”. La “somma di più congiunture negative. Un caso unico”, lo definisce oggi Francesco Bedogni, che è a capo dell’équipe di Cardiologia interventistica. L’ecodoppler mostra due difetti interatriali (aperture di 11 e 15 millimetri nella parete che divide le due camere cardiache), ai quali si era associato un prolasso della valvola mitralica.

Il cuore di Davide è messo a dura prova. Il ventricolo destro, sovraccaricato dal volume di sangue, ha perso la sua capacità di contrarsi. E nel frattempo, spiega Bedogni, “è aumentata la pressione a livello dei polmoni”, cosa che ha aperto la strada all’ipertensione polmonare, complicanza rara in un bambino. “Ci si è aperto un mondo – dice mamma Claudia – Nessuno prima di allora ci aveva dato risposte. L’ipertensione polmonare di Davide altrove era stata sottovalutata. Ed è anche per questo che raccontiamo la sua storia. Il nostro messaggio ai genitori che devono affrontare situazioni come la nostra è non fermatevi, fidatevi dell’istinto, chiedete un parere in un centro specializzato. Per noi è stata dura e abbiamo dovuto fare i conti anche con il senso di colpa, con l’impotenza di fronte a una situazione così complicata”.

Prima di un eventuale intervento i medici devono studiare accuratamente l’anatomia del cuore di Davide. Lo fanno con il cateterismo cardiaco, introducendo sonde sottilissime e flessibili che evidenziano un altro elemento che complicherà il destino del piccolo: una stenosi, un restringimento del primo tratto della coronaria sinistra. Questa importante ‘autostrada’ del sangue, per via di un angolo innaturale e strettissimo, ‘a becco di flauto’, sotto sforzo si chiude completamente. Bisogna intervenire, è la conclusione.

Il primo step di questa corsa contro il tempo è in mano alle équipe di Alessandro Frigiola, il cardiochirurgo pediatrico protagonista di tante missioni con l’associazione ‘Bambini cardiopatici nel mondo’ di cui è co-fondatore, e di Mario Carminati, Cardiologia pediatrica. I camici verdi riparano la valvola mitralica, chiudono i fori tra gli atrii ed effettuano un bypass della coronaria sinistra, grazie all’arteria mammaria. Alla fine dell’operazione il cuore di Davide ancora non ce la fa, non riesce a sostenere la circolazione. Allora il bambino viene collegato all’Ecmo (ossigenazione extracorporea), macchina che sostituisce l’attività di cuore e polmoni.

I medici stanno guadagnando tempo prezioso, ma devono pensare in tutta velocità a una nuova strategia. “Ci siamo detti: dobbiamo trovare un modo per portare più sangue al muscolo cardiaco”, racconta Bedogni. Ed è qui che intervengono i cardiologi interventisti degli adulti. “E’ una scommessa. Decidiamo di intervenire subito per evitare il deteriorarsi della situazione, con un uso non standard di uno stent medicato, una via mai tentata in un bimbo così piccolo e in condizioni così rischiose per la vita”, continua lo specialista. L’obiettivo è “allargare l’origine stretta della coronaria, che impediva al cuore di contrarsi mettendo il piccolo a rischio di infarto massivo”. Correggere dunque così la malformazione nel tronco comune della coronaria, dilatare l’arteria e ripristinare il flusso sanguigno. I device in questione, però, sono pensati per adulti e i medici sono andati a cercare “lo stent più piccolo per inserirlo nella parte più grande di un cuore in miniatura” come quello di un bambino.

“Il risultato è stato brillante. Il flusso è ripreso. Restava da capire se era sufficiente a una ripresa della contrattività del muscolo cardiaco. E’ andata così. E nei giorni successivi è stato possibile staccare Davide dall’Ecmo”, riferisce Bedogni che rivive così quei momenti: “Se c’è un problema cerchi una soluzione. Noi non avevamo garanzie e non è facile optare per un’angioplastica mai fatta che decide della vita di un bimbo, l’impatto emotivo è fortissimo di fronte al suo cuoricino fermo. Ma abbiamo deciso insieme, rompendo le barriere fra i reparti, verificando un’ipotesi sul campo, mettendo sul piatto rischi e benefici. Del resto non c’erano alternative, e questo ci ha dato una certa determinazione e tranquillità nell’agire”.

E’ più facile, precisa, “saltare giù da una casa cercando di centrare un piccolo materasso se tutto intorno a te sta andando in fiamme. Se non lo fai, non ci sono speranze”. Ma in quei momenti la tensione è comunque alle stelle. C’erano 30 specialisti ad assistere col fiato sospeso. “E appena l’arteria si è riaperta e si è capito che lo stent stava funzionando è scattato un lungo applauso, c’è stata commozione”, ricorda Federico De Marco, il cardiologo interventista che con Butera ha messo in pratica in prima persona la strategia ‘rischiatutto’.

Dopo 15 giorni Davide dice definitivamente addio all’Ecmo. E torna piano piano alla vita. Oggi è a casa con mamma e papà. E’ stata un’impresa per lui, osserva la mamma. “Ha avuto anche momenti di rabbia nei lunghi periodi trascorsi in ospedale, è stato un trauma risvegliarsi da solo in reparto. Ma gli abbiamo spiegato che è stato fatto tutto per il suo bene e continueremo a parlargli con sincerità. Abbiamo avuto bisogno di supporto psicologico e ora Davide dovrà continuare a convivere con l’ipertensione polmonare, seppur migliorata dopo l’intervento, ma la paura più grande è passata”, assicura Claudia. Questo caso molto raro, conclude Frigiola, “non aveva una soluzione chirurgica ed è la dimostrazione che la collaborazione fra diverse competenze è la strategia vincente. Il paziente è il centro attorno al quale ruotano i vari specialisti”.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA