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LA PASTICCERIA DI PASQUALE DI RAGUSA VINCE BANDO CON LA LAPA

CAPPELLANI, LA GIAPPONESE, E L’ARANCINO DI DESIGN

Di Redazione |

In Sicilia è più facile dissertare sul sesso degli angeli che trovare la soluzione all’eterno dilemma che, essendo eterno, rimane: si dice arancina o arancino? Lo scopriremo solo… mangiando. E di gusto. Perché per quella che è definita la regina dello street food, al di là della sua identità di genere, di gusti ce ne sono davvero tanti. Dal ragù al burro, dagli spinaci alla norma, dal pistacchio al pesce. Come perdersi nel limbo della scelta. L’abbiamo imparato dalla Pasticceria Di Pasquale di Ragusa che si è messa in testa di portare un po’ di “gustosa Sicilia” direttamente nel cuore della city italiana: Milano. Un trionfo di sapori che vedrà la pasticceria ragusana, cara anche a Leonardo Sciascia, far ingolosire i milanesi e i turisti tra arancini e cannoli, secondo le tradizioni made in Sicily. La pasticceria ha vinto, insieme ad altri, un bando del Comune di Milano che prevede la nascita di postazioni di street food al centro della città. Una nuova sfida che si giocherà a bordo di una moderna Moto Ape eco friendly.  Ma per incontrare il gusto della maggior parte dei consumatori, la pasticceria è andata oltre.

Nei giorni scorsi, all’interno di un evento a Ragusa, ha lanciato un vero e proprio panel test invitando opinion leader, influencer, consumatori, massaie, food blogger. A loro il duro, durissimo lavoro, di assaggiare arancini/e per offrire la propria valutazione in fatto di cottura del riso, qualità condimento, panatura, croccantezza. Gli chef che hanno preparato queste prelibate bontà, hanno infatti utilizzato metodi differenti in fase di cottura e preparazione. Chiamati in gruppi di dieci, i partecipanti hanno valutato e offerto una serie di indicazioni e parametri in grado di creare uno standard a cui attenersi per intercettare l’interesse di un pubblico quanto più eterogeneo. Proprio come quello che acquisterà direttamente in strada a Milano gli arancini/e ma anche i buonissimi cannoli della pasticceria Di Pasquale in questa nuova avventura. Saranno naturalmente utilizzati solo ingredienti di qualità e rigorosamente siciliani, come il pistacchio di Bronte Dop, la mandorla di Avola e la ricotta dell’altopiano ibleo. Per gli arancini si useranno il riso Carnaroli, il caciocavallo ragusano Dop e gli ortaggi stagionali provenienti da agricoltura bio. Tutte le materie prime verranno lavorate quotidianamente da mani esperte di giovani collaboratori, formati nella nuova filiera formativa della Pasticceria Di Pasquale, nel rispetto delle sue storiche ricette e delle sue linee di produzione.  

Ospite del panel test, invitato da Gianni Bocchieri, il giornalista Ottavio Cappellani, affabulatore e narratore di storie legate allo street food siciliano. Ed anche lui non è riuscito a risolvere l’enigma: arancini o arancine? In attesa di mettere la parola fine alla disputa secolare a cui ha cercato, invano, di dare risposta anche l’Accademia della Crusca, Cappellani, da buon catanese, ritiene che si debba dire “arancino” e non, come dicono i palermitani, “arancina”. Perché? “Va innanzitutto detto che è una pietanza di cui dovremmo essere orgogliosi – spiega Cappellani – E’ il primo street food elaborato ed è buonissimo, richiama e identifica la Sicilia nel mondo. Io dico che si debba dire al maschile, dunque arancino, perché per forma e colore l’arancino assomiglia ad un’arancia ma in dialetto il frutto viene chiamato al maschile. Munnami n’arancio, si dice per chiedere di sbucciare un’arancia. Ecco perché sono dell’idea che si debba dire arancino. Consapevole, naturalmente, che per altri, soprattutto per i palermitani, ma vedo anche per i ragusani, l’arancina è fimmina. Tutto al più, si potrebbe trovare un compromesso, indicare al femminile la forma tonda e al maschile la forma a punta. Resta comunque il mistero ma l’importante è che abbia la giusta bontà. Piuttosto, oltre ai gusti di oggi, mi piacerebbe recuperare anche i gusti che sono praticamente spariti come l’arancino alle sarde, che facevano le monache di clausura, o l’arancino dolce realizzato con cioccolato, sanguinaccio e peperoncino”.

Poi Cappellani racconta un aneddoto. Anni fa era fidanzato con una giapponese. La portò a Noto e in uno dei bar assaggiò l’arancino/a. Ne rimase estasiata visto che anche in Giappone si mangiano palle di riso. Ma quella siciliana, quella piramide fritta, con la sua caratteristica forma a punta, che pare voglia ricordare la forma del vulcano Etna, stupì la giovane giapponese che di professione fa l’architetto. E fu lei a suggerire una nuova classificazione. L’arancino/a è un … oggetto di design. Ed allora, come tale, dovremmo studiarlo, analizzarlo, contemplarlo. Ma alla fine, non ce ne voglia l’ex fidanzata di Cappellani, preferiamo mangiarlo.

(testo a cura di medialive)COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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