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An­che Ca­ta­nia ebbe la sua tor­re di Pisa, eclet­ti­ca ed eso­ti­ca ispi­rò Vi­ta­lia­no Bran­ca­ti

Di Redazione |

Le prin­ci­pa­li cit­tà ita­lia­ne pos­so­no, an­co­ra oggi, fre­giar­si di pos­se­de­re le più alte e im­po­nen­ti tor­ri del­la Pe­ni­so­la. Ba­sti pen­sa­re alla ce­le­bre e pen­den­te Tor­re di Pisa, im­mor­ta­la­ta nel­le fo­to­gra­fie di tan­ti tu­ri­sti che im­ma­gi­na­no di­ver­ti­ti di po­ter­la so­ste­ne­re, o alle due prin­ci­pa­li tor­ri bo­lo­gne­si, la Tor­re de­gli Asi­nel­li e la Ga­ri­sen­da, an­ch’es­sa pen­den­te ma meno ele­va­ta del­la sua at­ti­gua com­pa­gna. Cia­scu­na di esse è espres­sio­ne del fa­sto di un’e­po­ca in cui l’ar­te, in tut­te le sue for­me, era uno dei tan­ti modi per ma­ni­fe­sta­re il po­te­re. Po­chi san­no, tut­ta­via, che an­che da que­sto pun­to di vi­sta Ca­ta­nia non ave­va nul­la da in­vi­dia­re alle al­tre cit­tà pre­sen­ti sul ter­ri­to­rio. Il pas­sa­to, pur­trop­po, è d’ob­bli­go: a par­ti­re dal­la metà de­gli anni ’60 del se­co­lo scor­so, l’u­ni­ca tor­re che era pre­sen­te in cit­tà non esi­ste più. Stia­mo par­lan­do del­la Tor­re Ales­si che ispi­rò Gli anni per­du­ti di Vi­ta­lia­no Bran­ca­ti.

L’AR­CHI­TET­TO MI­LA­NE­SE. L’at­tua­le to­po­no­ma­sti­ca ca­ta­ne­se an­no­ve­ra tra i suoi, a vol­te biz­zar­ri, nomi la Via Tor­re Ales­si. Essa col­le­ga la Via Sal­va­to­re Pao­la con la Via Fe­de­ri­co Cic­ca­glio­ne, nei pres­si del­l’Or­to Bo­ta­ni­co. Il nome di que­sta via è l’ul­ti­ma te­sti­mo­nian­za di que­sta par­ti­co­la­re strut­tu­ra che si er­ge­va pro­prio su quel­la por­zio­ne di ter­ri­to­rio. L’a­rea alla qua­le stia­mo fa­cen­do ri­fe­ri­men­to, era un tem­po adi­bi­ta ad agru­me­to ed ap­par­te­ne­va alla fa­mi­glia Ales­si. An­che al­l’e­po­ca, di cer­to, non era in­fre­quen­te che scar­seg­gias­se l’ac­qua per ir­ri­ga­re i cam­pi, così i pro­prie­ta­ri di que­sto ter­re­no de­ci­se­ro di af­fi­da­re al­l’ar­chi­tet­to Car­lo Sada la co­stru­zio­ne di una gran­de va­sca di rac­col­ta. Per un mi­glio­re fun­zio­na­men­to di que­sto si­ste­ma idrau­li­co, Sada, che era ben noto in cit­tà per le sue ope­re, de­ci­se di in­se­ri­re la va­sca in una tor­re che per­met­tes­se di re­go­la­re l’af­flus­so del­l’ac­qua. Fu così che ven­ne alla luce una strut­tu­ra alta cir­ca 35 me­tri, sen­za con­ta­re la par­te me­tal­li­ca som­mi­ta­le, che era com­po­sta da ben quat­tro pia­ni: il pri­mo adi­bi­to a pic­cio­na­ia, il se­con­do che fun­ge­va da va­sca, il ter­zo sen­za una de­sti­na­zio­ne ben pre­ci­sa e il quar­to adi­bi­to a ter­raz­za pa­no­ra­mi­ca.

GLI ANNI PER­DU­TI. Il gu­sto eclet­ti­co del­l’ar­chi­tet­to mi­la­ne­se lo por­tò a con­ce­pi­re un ele­men­to ar­chi­tet­to­ni­co che fos­se al­l’a­van­guar­dia dal pun­to di vi­sta tec­no­lo­gi­co, con­si­de­ra­ta la fun­zio­ne alla qua­le era adi­bi­ta la tor­re, ma che fos­se an­che este­ti­ca­men­te de­gna di nota. Il ri­sul­ta­to fu ap­pun­to una strut­tu­ra dai trat­ti eso­ti­ci, che ri­spon­de­va pie­na­men­te ai ca­no­ni del Li­ber­ty ca­ta­ne­se, ar­ric­chi­ta da tut­ta una se­rie di ele­men­ti, qua­li una sca­la ester­na a spi­ra­le e una cu­po­la in fer­ro che lo scrit­to­re Bran­ca­ti de­scris­se egre­gia­men­te ne Gli anni per­du­ti: «La gu­glia ver­de, di sti­le mo­re­sco, era so­ste­nu­ta da nove co­lon­net­te. Sot­to la ter­raz­za, l’ar­chi­tra­ve era di­pin­ta in oro, e il fre­gio, ri­ca­ma­to da sfe­re oblun­ghe, bril­la­va di ver­de mare”».In de­fi­ni­ti­va, la Tor­re Ales­si po­te­va es­se­re con­si­de­ra­ta a pie­no ti­to­lo una del­le me­ra­vi­glie del­la cit­tà, se non al­tro per lo splen­di­do pa­no­ra­ma che po­te­va gu­star­si dal­la sua ter­raz­za e che di­ven­ne per i pro­prie­ta­ri una fon­te di red­di­to. Pare, in­fat­ti, che alla fine del­l’800 fos­se con­sen­ti­to l’ac­ces­so ai con­cit­ta­di­ni e ai tu­ri­sti i qua­li do­ve­va­no mu­nir­si di bi­gliet­to.

IL BOOM ECO­NO­MI­CO. La Tor­re Ales­si fu pro­ta­go­ni­sta, nel cor­so del tem­po, an­che di tri­sti vi­cen­de. Dal­le fon­ti si evin­ce che du­ran­te la Se­con­da Guer­ra Mon­dia­le fu­ro­no re­gi­stra­ti casi di per­so­ne che si la­scia­va­no ca­de­re nel vuo­to, pro­prio dal­la par­te più alta del­la strut­tu­ra. Pas­sa­ta di pro­prie­ta­rio in pro­prie­ta­rio, già alla fine del con­flit­to av­ver­tì un pe­rio­do di de­ca­den­za, fino a quan­do il de­sti­no si ma­ni­fe­stò in tut­ta la sua cru­del­tà. Agli ini­zi de­gli anni ‘60, la Tor­re, or­mai ab­ban­do­na­ta, fu coin­vol­ta nel pro­ces­so de­mo­li­to­rio che avreb­be spia­na­to la stra­da agli im­po­nen­ti pa­laz­zi re­si­den­zia­li, che tut­t’o­ra co­stel­la­no il quar­tie­re dove la strut­tu­ra era ubi­ca­ta. Ad es­se­re de­mo­li­to non fu solo que­sto par­ti­co­la­re esem­pio del­l’ar­te ca­ta­ne­se, ma fu an­che, e so­prat­tut­to, la me­mo­ria. Nes­su­no, o qua­si, par­la più del­la tor­re dal gu­sto eso­ti­co che fu il van­to di un po­po­lo in con­ti­nuo fer­men­to, il po­po­lo ca­ta­ne­se.

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