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Irene Burgo, talento naturale siracusano che con la canoa ha vinto tutto

Di Titti Cantone |

Che Irene Burgo, 22 anni ancora per un po’, sia una ragazza che fa sport si vede subito: ha l’aria serena, le spalle larghe, il sorriso deciso di chi sa quello che vuole. Che abbia vinto tutto quello che ha vinto e che abbia ancora tanto tempo per vincere tanto altro ancora, lo si scopre parlandole. La sua vita organizzatissima ruota intorno alla canoa e lei, che ha vinto di tutto, la fa semplice semplice, come se fosse da tutti. In realtà l’impegno e l’allenamento costanti poggiano sulle solide basi di un talento naturale che è stato coltivato fin da piccola, e l’ha portata ai vertici come atleta professionista delle Fiamme Oro. Lo sport le ha dato, infatti, anche la possibilità di partecipare ad un concorso nella Polizia di Stato e di vincerlo. I titoli che aveva, anche in questo caso, le hanno consentito di sbaragliare qualunque possibile avversario. Tutto questo in un lasso di tempo che, vista la sua giovane età e la pacatezza con cui lo espone, verrebbe da considerare breve. Se non fosse che, dietro, ci sono i sacrifici che ogni sportivo di alto livello conosce, quelli che fanno di ogni vittoria un successo e di ogni allenamento un tassello per arrivarci.

Negli anni e nel passaggio da dilettante a professionista, come è cambiato il suo rapporto con la canoa?

«Ho iniziato a 8 anni, a quell’età deve prevalere l’aspetto ludico, è valso per me ma deve essere così per tutti. Mio padre Maurizio mi ha introdotto allo sport che lui ama tanto e per 2 anni sono stata la sua unica allieva. Con la canoa e la pagaia, percorrevamo il fiume Anapo e Mamma Iabica, e si è capito subito che avevo un talento per quello sport. Poi mio padre ha deciso di aprire una sua scuola che, ormai dal 2005, è affiliata alla Federazione Italiana Canoa Kayak, ed a quel punto ho avuto una squadra e anche altri ragazzi con cui allenarmi. Da professionista l’impegno è uguale, cambia l’aspetto economico e il fatto di avere l’onore di partecipare alle competizioni come atleta delle Fiamme Oro».

Manca anche l’aspetto ludico?

«Non c’è il gioco ma rimane il piacere, se no tanti sacrifici non si potrebbero affrontare. Rimangono gli scherzi e le risate con i compagni di squadra, prima e dopo una gara: hanno qualcosa del ludico che mi riporta al gioco di quando ero piccola. È piacevole, anche sentirsi parte integrante in una situazione a cui, quando partecipo alle competizioni internazionali, si aggiunge il bello di incontrare gli atleti più bravi del mondo».

Com’è il rapporto con suo padre che è da sempre il suo allenatore?

«È un rapporto sempre speciale, che va oltre quello tra padre e figlia. Non è mai successo che mi nascondesse gli errori che qualche volta faccio per non urtare la mia sensibilità. Io voglio esattamente questo, è la cosa più importante: che fra me e lui ci sia sempre onestà. D’altra parte per vincere a volte basta un dettaglio. Certo, poi finisce che anche a casa parliamo sempre di canoa, e non è facile fare altrimenti visto che anche mio fratello minore Samuele pratica lo stesso sport a livelli pari ai miei».

La mamma rimane fuori dai vostri discorsi?

«Anche mia madre, che si chiama Silvana, in realtà si occupa di canoa, anche se non ci è mai salita in vita sua. Lei rappresenta la parte politica del nostro sport, non solo è presidente della scuola ma lo è anche da 8 anni della federazione regionale, e per 6 mesi è stata anche consigliere nella federazione nazionale. Poi anche per la sua vita, come per la nostra, la scelta di praticare canoa a livelli agonistici è stata determinante per molte cose. Per esempio ci siamo dovuti trasferire ad abitare fuori città perché fosse più facile per noi figli allenarci».

Oltre che un’atleta lei è una donna, lo scorso anno ha partecipato come testimonial al progetto della Polizia di Stato contro la violenza sulle donne. Cosa l’ha spinta?

«È stato bellissimo per me essere scelta per il progetto, il cui slogan era “…Questo non è amore”. È stata un’esperienza importante e formativa il cui obiettivo era di creare un contatto diretto tra le donne ed una equipe di operatori specializzati, pronti a raccogliere le testimonianze di chi, spesso, ha paura a denunciare o a varcare la soglia di un ufficio di Polizia. Il primo e il terzo sabato del mese, a partire da luglio, in alcune piazze italiane fra cui la nostra Piazza Duomo, era presente una postazione mobile della Polizia di Stato che, insieme a varie figure specializzate, forniva a tutti i consigli utili. Il fatto che ci fossi io ha consentito un approccio con le ragazze più giovani che si sono rivolte con più facilità ad una persona della loro età piuttosto che ad un adulto».

Perché così tante donne vittime di violenza?

«Dalla mia esperienza dello scorso anno, mi sono fatta l’idea che è un vero e proprio fattore culturale, che purtroppo si allarga a macchia d’olio. A volte penso che i casi si alimentino l’un l’altro. Penso che ci vorrebbero pene severissime per interrompere questa spirale. Poi la denuncia al primo episodio, mai aspettare che se ne verifichino altri. Purtroppo alcune donne non conoscono altra forma d’amore e troppe tendono a perdonare fino ad arrivare all’irreparabile. Ancora più brutto, però, quando le denunce non vengono ascoltate».

Quando smetterà di essere un’atleta agonistica rimarrà in Polizia?

«Sto studiando Scienze politiche con indirizzo relazioni internazionali all’Università di Catania, e francamente, sì, ci penso ad una carriera in Polizia, anche se con quali sbocchi è difficile dirlo ed ancora molto lontano».

Che tipo è Irene?

«Una che si sa organizzare sempre: sono una maniaca dell’organizzazione, sono convinta che basta volere una cosa ed impegnarsi per averla. Non mi spaventano i sacrifici, non ho problemi a svegliarmi presto, faccio un allenamento la mattina e 2 il pomeriggio, quando alla canoa aggiungo il nuoto. Mi alleno sempre anche la domenica, anche se magari facendo solo una corsetta. In tutto questo riesco a metterci lo studio, gli amici e qualche divertimento. Sono anche riuscita a lavorare come istruttrice in una palestra lo scorso anno, per mettere qualche euro da parte. Riesco anche ad uscire con gli amici, magari non tantissimo, ma lo faccio».

Mai un cedimento?

«Da quando sono cresciuta mi concedo il bisogno di appoggiarmi agli altri, di non credere, come prima, alla necessità di essere sempre forte e quindi riuscire a fare tutto da sola. All’esterno sembro una ragazza sempre decisa e sicura di me, invece, come per tutti, ci sono momenti in cui ho bisogno di essere rassicurata. Prima questo non mi piaceva, lo vivevo male. Per me è stata una grande conquista ammettere di avere bisogno degli altri, mi dà serenità sapere di poter chiedere aiuto se sono in difficoltà. Insomma non mi vergogno più di non poter controllare tutto. Dico sempre che soli si cammina più velocemente, ma in compagnia si va più lontano».

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