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«Con i super food rendiamo la terra di nuovo redditizia»

Di Maria Ausilia Boemi |

Il melograno, il mango e l’avocado sono super food salutistici che il mercato italiano già conosce e che, a differenza delle coltivazioni tradizionali siciliane, sono remunerative: la scommessa di tre giovani – due siciliani e uno veneto “stregato” dall’Isola – si sta rivelando vincente. E Maurizio Abate, viticoltore 35enne, Giordano Fasoli, 36 anni, e Pietro Bongiorno, 34 anni, fondatori del consorzio Kore frutti di Sicilia e della omonima cooperativa che accomuna oggi 54 aziende, sta dando ottimi frutti.

Una scommessa iniziata nel 2010 con la costituzione del consorzio a Mazara del Vallo e concretizzatasi 3 anni dopo col primo raccolto. «L’idea – racconta Maurizio Abate, presidente del consorzio e amministratore della coop, oltre che responsabile della commercializzazione – ci è stata suggerita da un vivaista italo-israeliano che ci ha proposto di andare in Israele per scoprire le tecniche agricole innovative di quel Paese».

Tra le coltivazioni da frutto presenti in Israele, i tre giovani intraprendenti ne hanno selezionate tre: il melograno, che ha avuto il suo decorso dal 2013 a oggi, con 155 ettari piantati in Sicilia (a fronte dei 9 iniziali), l’attuale raggiungimento della capacità di magazzino prefissata e una produzione prevista nel 2020 di oltre 30mila quintali di prodotto; da quest’anno il mango (in produzione tra 3 anni) e dal prossimo anno l’avocado (primo raccolto tra 4 anni). Il programma è di avviare almeno 100 ettari di mango e 100 di avocado entro il 2020.

«Abbiamo – spiega il dott. Abate – dei programmi molto rigidi, anche perché gli israeliani devono preparare le piante su commissione». La Sicilia, dal punto di vista climatico, è tra l’altro perfetta per questo tipo di coltivazioni, e anzi ha costi inferiori rispetto a Israele, che ha il problema dell’approvvigionamento idrico.

Queste coltivazioni “esotiche” stanno soppiantando in parte quelle tradizionali, che non producono più redditi sufficienti: nel Trapanese, in particolare, viti e ulivi, nella Sicilia orientale gli agrumi. «Noi però – sottolinea Abate – preferiamo dire che le coltivazioni coabitano, perché spesso i soci per motivi affettivi non vogliono abbandonare il limoneto o l’agrumeto, ma vi affiancano una parte di superficie a melograno o a mango e nel frattempo si ridimensiona, visto che c’è eccedenza di mercato, il vigneto, l’oliveto o l’agrumeto».

La scelta di melograno, mango e avocado non è stata ovviamente casuale: «Li abbiamo scelti per 3 motivi principali: perché sono super-food, cioè sono frutti salutistici e il consumatore, ormai informato, sceglie cibi che fanno bene all’organismo. Sono inoltre frutti che il mercato italiano già conosce: noi consumiamo migliaia di tonnellate di melograno, mango, avocado, che prima erano tutti di importazione. Noi diamo al consumatore la possibilità di scegliere tra quello italiano e quello straniero. La terza ragione è che sono coltivazioni remunerative». Tolte le spese di gestione, abbastanza sostenute specie nel caso del melograno, «mediamente restano al coltivatore da 15 a 20mila euro netti a ettaro».

Anche i tre soci fondatori sono produttori, anzi sono i primi che sperimentano le coltivazioni e poi le estendono a tutti gli altri. Nelle loro “vite precedenti”, Maurizio Abate era un enologo che, dopo gli studi condotti ad Alba in una delle università più rinomate nel settore, ha deciso di trasformare i 18 ettari di vigneto dell’azienda di famiglia in una distesa di melograni; Pietro Bongiorno, oggi tecnico che segue i campi di tutti i soci di Kore, coltivava rose in idroponico; Giordano Fasoli, che alla Kore si occupa di ricerca e sviluppo, ha una cantina di famiglia ben consolidata in Veneto, ma ha creduto in questo progetto e si è trasferito in Sicilia, creando il suo impianto di coltivazione in ambito ortofrutticolo. «Giordano non conosceva la Sicilia se non per esserci stato in vacanza – racconta Abate -. Ha però visto le coltivazioni, ha creduto nel nostro territorio e ha lasciato l’azienda di famiglia per investire sul melograno nei primi anni, da quest’anno anche sul mango e dal prossimo anno sull’avocado. Abbiamo così anche un veneto che ha creduto nel progetto e sta cogliendo i frutti dei sacrifici e della scommessa fatta».

E i sacrifici sono stati tanti, ovviamente: «Per i primi tre anni, ci sono solo spese e soltanto dopo cominci a cogliere i primi frutti. Le difficoltà sono state più che altro di tipo economico, perché siamo partiti dal nulla e siamo diventati una bella realtà. Non abbiamo avuto contributi sulle coltivazioni e neanche per un magazzino, che affittiamo. Il problema principale è l’accesso al credito, lo sappiamo tutti che le banche non danno credito. La nostra difficoltà, la nostra crescita ponderata e anche lenta proviene dal fatto che ci siamo costruiti da soli, senza aiuti pubblici. A questo, si aggiungono le difficoltà di impiantare nuove coltivazioni: per avere frutti, bisogna conoscere le tecniche e in ciò ci siamo avvalsi delle indicazioni degli israeliani. Ovviamente, abbiamo dovuto pagare le consulenze a caro prezzo, facendo venire nelle campagne gli israeliani affinché potessero dare indicazioni al nostro tecnico. In questo modo, però, già dal primo anno abbiamo ottenuto produzioni di qualità».

Di contro, ci sono state le soddisfazioni: ad esempio, all’Expo nel 2015 la Kore è stata premiata dalle migliori aziende ortofrutticole in Italia come migliore azienda innovativa. Nel 2016 ha ricevuto un riconoscimento dal governatore della Sicilia per avere realizzato innovazione nel prodotto e nel sistema.

L’agricoltura in Sicilia si dimostra così uno sbocco professionale valido per i giovani, «interessante e appagante. Quando ci sono i frutti e i risultati economici, il giovane è attratto dall’agricoltura, che non è più quella di una volta legata a terra, sporcizia e zappa: oggi ci sono i mezzi agricoli, ci sono i sistemi automatizzati di irrigazione, ci sono tutte le soluzioni per far sì che i giovani traggano soddisfazioni personali. Tra l’altro, molti giovani diplomati o laureati si sono lanciati nelle coltivazioni seguendo le nostre indicazioni, perché sono allettati da coltivazioni innovative. I giovani sono più reattivi all’innovazione rispetto alle persone più anziane: chi da 50 anni coltiva il vigneto, non ricomincia da capo». Ma un giovane che non ha terra, come può fare? «Tra i soci abbiamo dei giovani in questa condizione: abbiamo consigliato loro di prendere terre in affitto per lunga durata, tipo 20 anni. Perché l’investimento sia remunerativo, però, occorre che la superficie coltivata sia di almeno 3 ettari».

L’agricoltura, quindi, dà opportunità, purché la si affianchi a un’idea innovativa: «Ha centrato il discorso: l’agricoltura convenzionale ormai non va più. Il mercato è così dinamico che se non cambiamo anche noi alla base e restiamo fermi a quello che si faceva 50 anni fa, si resta isolati. In maniera ponderata, dedicando magari 3 ettari di un’azienda di 10 ettari o 5 ettari di un’azienda di 20, bisogna guardarsi attorno e inserire altre coltivazioni, ammodernando l’azienda allo scopo di assecondare il mercato. Facendo qualità e prodotti innovativi, c’è spazio in abbondanza».

Certo, anche le istituzioni devono cambiare registro: «Le aziende si sono impoverite e hanno necessità di essere sostenute. Invece, c’è ancora la famosa burocrazia che va contro la burocratizzazione: solo che la burocratizzazione è solo teoria, mentre a livello pratico c’è sempre molta cartaccia da compilare. Le istituzioni dovrebbero darci un po’ più aiuti e un po’ meno carte da compilare». Le piccole aziende sono quelle che soffrono di più: «Dove si fa rete e sistema, si riesce a resistere: siamo noi, come Kore, che aiutiamo le aziende a fare le certificazioni, a fare la conversione bio (stiamo conducendo un programma a tal scopo), altrimenti le piccole aziende singole non riuscirebbero a sopravvivere. Inoltre, è giusto che si rispetti la normativa, però è anche giusto i prodotti importati vi si adeguino: non si possono avere in Italia leggi restrittive su gestione, coltivazione, magazzini, quando dall’estero arriva frutta che non ha controlli. Così si crea una sorta di concorrenza sleale e l’unica soluzione per combattere la concorrenza sleale è la qualità. Noi siamo obbligati a differenziarci per qualità, però non ce la giochiamo alla pari, facciamo una corsa in cui partiamo svantaggiati. Un’idea potrebbe essere restringere le importazioni, costringendo chi vuole vendere in Italia a produrre con le nostre stesse regole, perché non ha senso che arrivino in Italia prodotti trattati con principi attivi, utilizzati in Turchia e Tunisia, che nelle nostre campagne sono stati banditi più di 10 anni fa: noi adesso per fare la differenza produciamo, dove non è biologico, a zero pesticidi alla raccolta, però abbiamo meno soluzioni».

Kore frutti di Sicilia vende prevalentemente in Italia e, in maniera limitata, in Francia, Svizzera e Germania: «In Italia – sottolinea Abate – abbiamo consolidato delle partnership e abbiamo l’esclusiva di fornitura per Valfrutta. Ciò significa che tutto quello che Valfrutta vende di melograno è melograno Kore e tutto il melograno che loro acquistano lo produciamo, selezioniamo e curiamo noi. L’ultima innovazione, infine, è la trasformazione in succo del prodotto di seconda (quello che ha piccoli difetti, è graffiato, ha la corona beccata, può avere delle piccole scottature da sole): Kore trasforma questi frutti in succo e, quando ciò avviene, torna ad essere prodotto di prima. Così, con la prima riusciamo a servire il mercato fresco, con la seconda serviamo le industrie che comprano succo».

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