Notizie Locali


SEZIONI
Catania 17°

Sicilians

Dal sogno della legge a “Heidi” siciliana per scelta e passione

Di Maria Ausilia Boemi |

«Con mia sorella, 5 anni fa ho ereditato dal nonno i terreni, i capannoni e il gregge di pecore – racconta – e, nel momento di scegliere cosa farne, ho deciso di continuare l’attività». All’allevamento ovino, Marta Spera ha aggiunto quello caprino e, un paio di anni fa, un piccolo laboratorio di caseificazione dove lavora il latte prodotto dai suoi animali.

«Da piccola – ricorda – venivo a trovare il nonno in azienda, ma non avevo mai pensato che questa potesse diventare la mia strada». Un’azienda a conduzione familiare: la sorella si occupa per lo più della parte amministrativa; poi vi lavorano il padre e la madre di Marta e, da gennaio scorso, quando Marta si è sposata, anche il marito. «Io in particolare mi occupo sia della pastorizia sia della caseificazione: il laboratorio è tutto a gestione mia, però per produrre un latte con caratteristiche tali da ottenere un determinato tipo di formaggio si devono curare vari passaggi. Il lavoro parte dalla scelta del tipo di pascolo per arrivare alla vendita del prodotto al consumatore finale. Abbiamo peraltro un numero di animali (140 tra capre e pecore, con una prevalenza numerica di queste ultime) che non potrebbero essere gestiti da una persona sola. Gli animali stanno al pascolo: vero è che oggi, con i sistemi di tracciabilità Gps, la tecnologia aiuta, ma ci vuole sempre qualcuno che stia dietro agli animali perché ci sono i cani randagi e quindi non si può restare a casa limitandosi a controllare dal Gps dove si trovano».

Certo, non è stato facile il passaggio dalla città a una montagna di interminati spazi e sovrumani silenzi quasi disabitati dagli umani: «In realtà, io non ho mai vissuto in città. Ovviamente, frequentando il liceo e l’università è normale che la mia vita non si svolgesse in campagna come adesso: allora vivevo in paese, poi mi sono trasferita con i miei genitori nella casa in azienda e ora, da quando mi sono sposata, sono scesa di nuovo a Belmonte Mezzagno, che è a circa 10 minuti in macchina dall’allevamento». Un lavoro duro, che impegna 365 giorni l’anno, senza ferie e vacanze: «D’estate la giornata è un po’ più leggera, ma ora che siamo nel periodo dei parti delle capre e di piena produzione del latte delle pecore, abbiamo una giornata intensa. Sveglia alle 4,15, alle 5,15 sono già in laboratorio per lavorare il latte della sera prima: si produce il formaggio, si confeziona, si fa arrivare il prodotto al negozio o al cliente privato, si torna in azienda per la gestione della parte burocratica, il pomeriggio si dà una mano in allevamento per la mungitura degli animali e si va avanti fino al tramonto. Il nostro è un allevamento allo stato brado e, quando comincia a fare buio, si ritirano gli animali per la mungitura e, nel periodo invernale, si ricoverano nella stalla. Siccome poi abbiamo anche un oliveto, in questo periodo, quando si finisce con gli animali, si passa alla raccolta delle olive. E l’indomani alle 4 si ricomincia».

Marta Spera utilizza solo latte crudo, ovviamente in sicurezza: «Il prodotto deve quindi necessariamente provenire da un’azienda che lavora soltanto il proprio latte e che ha sotto controllo lo stato di salute dell’animale. Partiamo da questo presupposto, perché il formaggio che proviene dal latte crudo ha una qualità più alta rispetto a quello che viene dal latte pastorizzato. La pastorizzazione, infatti, va sì a uccidere gli agenti patogeni, ma anche tutto quello che è il buono del latte. Il latte che oggi mungo qui nel pascolo di Altofonte, dai miei animali allevati allo stato brado e non su pascolo coltivato – sono quindi gli animali che decidono cosa andare a brucare – ha un determinato sapore. Questo sapore io lo posso riportare nel mio formaggio se lo realizzo a latte crudo. Ma appena sterilizzo o pastorizzo o altero l’acidità del latte, lo standardizzo e non ho più un prodotto unico». Gli animali dell’allevamento di Marta Spera sono controllati continuamente e non vengono mai a contatto con altre greggi: «La zona in cui ci troviamo è montuosa e disabitata, non ci sono case o attività nelle vicinanze». Mangiano erbe non trattate e soprattutto scelte dall’animale e non dall’uomo: «Ci sono varie tipologie di allevamenti allo stato brado: una cosa è se sono io a decidere che tipo di erba gli animali devono brucare, perché magari si sviluppa meglio e dà meno problemi; cosa diversa è il pascolo allo stato brado in montagna, dove la capra o la pecora trovano diverse varietà di erbe e decidono loro quale brucare». D’estate, invece, «integriamo con fieni e aggiungiamo le pale del ficodindia, alimento che idrata gli animali».

Marta Spera produce i formaggi tipici della nostra tradizione siciliana: col latte di pecora, tuma e ricotta, mentre col latte di capra produce formaggi freschi a pasta morbida e la ricotta caprina, più leggera e delicata di quella di pecora. A insegnarle l’arte della casara è stato il papà, che a sua volta attingeva ai suoi ricordi di famiglia, per quanto riguarda la tuma e la ricotta. Per i formaggi di capra, «il cui latte va lavorato in maniera completamente diversa da quello ovino, la prima infarinatura l’ho avuta da mio cugino che in passato lavorava il latte di capra, poi ho studiato sui libri e piano piano si è aggiunta l’esperienza». Con la consapevolezza che, come accade per chi produce il vino, «ogni casaro fa un formaggio diverso rispetto agli altri, anche se magari hanno lo stesso nome».

Nessun rimpianto né pentimento per questa giovane dalla volontà d’acciaio: «Lavorare con i miei genitori mi permette di fare ogni tanto uno strappo alla regola. Siamo insieme, uniti nel portare avanti questo progetto, cercando di sostenerci e agevolarci a vicenda per far sì che questo lavoro non diventi troppo stressante». E se il periodo estivo è quello meno pesante dal punto di vista lavorativo, lo è di contro dal punto di vista economico perché, «venendo meno la materia prima con cui noi lavoriamo, il latte, le entrate diminuiscono drasticamente». Ma Marta Spera sottolinea un’altra difficoltà, che lei trasforma però in un progetto o in un’opportunità: «La sensibilizzazione del cliente finale. Quando la persona va in salumeria, è difficile che sia consapevole e non riesce spesso a selezionare il prodotto in base alle sue proprietà. Probabilmente anche la pubblicità fa pensare al consumatore che il prodotto industriale sia genuino. C’è una cattiva informazione, siamo bombardati dalla pubblicità che inculca modelli diversi da quella che è la realtà».

Uno dei settori più tradizionali in assoluto, questo della pastorizia: ci si vive bene? «Da un paio d’anni abbiamo il nostro laboratorio e il nostro marchio. Abbiamo lavorato molto anche andando nei mercati, parlando con le persone per spiegare che tipo di formaggio produciamo. Abbiamo sempre cercato di mantenere il prezzo più basso possibile, per far sì che il nostro prodotto non fosse destinato soltanto a chi si può permettere qualcosa in più e fare capire alle persone che per alimentarsi bene non serve spendere capitali, ma soltanto tornare ad acquistare direttamente dal produttore. Con questo lavoro di sensibilizzazione e col fatto che adesso lavoriamo molto anche col consumatore finale, riusciamo a viverci. E ora spero di potere cominciare a lavorare con le scuole: abbiamo presentato un progetto per realizzare un laboratorio collegato con un’aula didattica e una piccola stanza dove fare la vendita dei prodotti. Cerchiamo così di chiudere ancora di più la filiera della nostra azienda, aggiungendo però anche la parte didattica che per me è importante. Voglio così aprire una fattoria didattica per formare il consumatore consapevole di domani».

Anche perché l’acquirente consapevole premia la qualità, purché ci sia un giusto rapporto qualità-prezzo. «Io, nel mio piccolo, conoscendo quelli che possono essere gli imbrogli nel latte, ogni mattina faccio il mio formaggio con due soli ingredienti: latte crudo e caglio. Fine: non ci sono additivi, non ci sono fermenti, non c’è nulla. E quando vado a fare la spesa, cerco sempre di leggere le etichette. Purtroppo, però, una spesa di qualità non è sempre alla portata di tutti: allora cerco di mantenere un rapporto qualità-prezzo equo, perché mi rendo conto che non tutti si possono permettere di spendere tanto».

Cosa consiglia ai giovani? «Ai miei coetanei che vogliono intraprendere un’attività agricola, dico che questo è un campo in cui si può fare molto e che offre anche tanti spunti alla creatività. Però si deve avere una passione e una voglia di lavorare vera, perché a parole tutto è bello, però poi la mattina la sveglia suona presto. Magari ci sono persone che vengono e dicono: “Che bello, vivi in mezzo alla natura”. Però non si tratta di starci mezza giornata, un giorno, una settimana, ma sempre. Quindi, passione e tanta determinazione. Anche perché creare un’azienda agricola da zero è difficile: ci sono i finanziamenti, ma se si vanno a vedere bene i bandi ci si rende conto che aiutano poco chi deve partire da zero».

COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA