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Siracusa, il procuratore «vigile» e la guerra delle toghe nel palazzo che scotta

Di Mario Barresi - Nostro inviato |

Non ci sarebbe nulla da festeggiare. Anzi, sì. Dipende dai punti di osservazione, da chi guarda chi. Longo finisce in manette al culmine di un’inchiesta partita dall’esposto di otto suoi colleghi. Otto su undici in servizio a Siracusa il 23 settembre 2016, quando «con profondo imbarazzo» viene firmato l’esposto che farà saltare il banco della cricca degli “ammazza-sentenze”.

Una «ferita dolorosa» per Andrea Migneco, gip del tribunale, che a La Sicilia ha parlato da presidente della sottosezione dell’Anm di Siracusa. Con l’onestà intellettuale di chi ammette «una situazione certamente grave», ma, con il massimo del garantismo (non corporativo) possibile, rivendica che «non esistono aree intoccabili» né «santuari inattaccabili». Anche chi è accusato «per fatti gravi» – in questo caso un magistrato denunciato da magistrati – «potrà dimostrare la propria estraneità nelle sedi opportune».

Fuori dal palazzo di giustizia di viale Panagia, in molti sono convinti che l’indagine di Messina – anche al di là del singolo ruolo di Longo – sia la prova definitiva per distinguere i buoni dai cattivi. Ma qualche altro analista, più raffinato e magari più malizioso, teorizza lo scenario del “ribaltone”: da un gruppo di potere a un altro, i perdenti che diventano vincenti ma sempre per tutelare interessi privati.

Dentro il palazzo, nella batracomiomachia delle toghe, i confini più netti.

Per approfondire leggi anche: Corruzione, indagati altri due magistrati

«Più che Amara, qui dentro era di casa l’avvocato Calafiore», sussurra qualcuno riferendosi alla stanza di Longo. Un rapporto tracciato in più parti dell’ordinanza del gip di Messina, Daniela Caramico D’Auria. Nel capitolo dedicato a «rivelazione del segreto d’ufficio e accesso abusivo al sistema informatico» ascritti al pm arrestato, ad esempio, una cancelliera dell’ufficio del gip segnala che Giuseppe Calafiore, assieme alla collega Ornella Ambrogio, il 1º giugno 2016 si presenta per chiedere notizie sul procedimento a carico del notaio Giambattista Coltraro (ex deputato regionale, fra gli indagati) «con richiesta di misura cautelare non ancora esitata e quindi ancora coperto da segreto istruttorio». Qualche giorno prima, il 28 maggio, Coltraro aveva delegato un collaboratore «per acquisire informazioni su eventuali pendenze o iscrizioni nei suoi confronti». Un caso? Tutt’altro. Perché lo stesso giorno il pm Longo, «senza essere titolare del procedimento», accede al Sicp (il sistema informatico) «per visionare il fascicolo in questione».

Ma «tratti di assoluta anomalia», scrive il gip si riscontrano nella gestione di un altro fascicolo, relativo a Gida e Comin, società della galassia di Amara. Siamo nell’inchiesta Open Land, una partita da 240 milioni, pari al valore dei beni oggetto di sequestro preventivo. E qui entra in ballo il consulente Corrado Perricone (fra gli indagati), “gradito” alla cricca. Qui Longo viene inchiodato dalle testimonianze di altri due colleghi: Salvatore Grillo (fra i firmatari dell’esposto) e Marco Bisogni, ex sostituto a Siracusa adesso in servizio a Catania. Il pm arrestato aveva «perfetta cognizione del compendio probatorio relativo al procedimento» e sul suggerimento del perito prestava alla collega Martina Bonfiglio «un contributo tutt’altro che disinteressato». Anche il pm Bonfiglio, tirata in ballo da una segnalazione del collega Grillo su presunte «anomalie» nel fascicolo Open Land, è stata sentita nell’ambito dell’inchiesta di Messina. 

Delle difficoltà con i colleghi, Longo parla con Calafiore. Il 24 gennaio 2017 l’avvocato, «dopo aver salutato amichevolmente» il magistrato («Minchia, con la cravatta sei?… Che cazzo devi fare stamattina?») apprendeva l’esito della “riunione di coordinamento” dei pm per esaminare i fascicoli su Open Land. E il legale, ora latitante all’estero, consiglia al pm la strategia: «Le carte… tu ti devi parlare subito… gli dici “procuratore”… gli dici “io ho il fascicolo a metà… le mie carte… le carte le voglio tutte». Calafiore e Longo chiamano Francesco Paolo Giordano «il vigile» in senso dispregiativo. Il procuratore, scrive il gip, «aveva cercato di accontentare tutti in maniera diplomatica, per la definizione dei fascicoli». E Longo non la prende bene. Ce l’ha con «quello scimunito di Lucignani (Davide, pm firmatario dell’esposto, ndr)».

Il gip parla di «contrasto scaturito dalle attività di due fazioni di magistrati». I buoni e i cattivi, anche se dovrebbero essere tutti buoni. Ma Calafiore ha sempre l’idea giusta: pressare il procuratore. «Si deve far cagare di più di quanto lui si caghi con questi scemoniti». L’avvocato e Longo parlano di interrogazioni parlamentari contro questo o quell’altro pm “nemico”, agli atti anche una campagna di stampa contro le toghe avversarie.

Ma Longo non è solo. C’è qualche collega con cui confrontarsi. Anche nei momenti difficili. C’è Maurizio Musco (ora in servizio a Caltanissetta, condannato per abuso d’ufficio in altro procedimento assieme all’ex procuratore Ugo Rossi) che lo aiuta ad “auto-bonificarsi” dalle intercettazioni delle Fiamme gialle di Messina. Consigliandogli, scrive il gip, «sia di procurarsi un’altra scheda telefonica intestata a terzi, per eludere l’attività tecnica, sia di non portare mai con sé il nuovo cellulare, per evitare perquisizioni e sequestri». Musco (che non firmò l’esposto contro il collega) viene ripreso nell’ufficio di Longo a discutere con Calafiore dalla stessa telecamera che il pm arrestato, dopo un provvidenziale sms, poi trova e disattiva. «Più che evidente – si legge nell’ordinanza – l’interesse mostrato dal Musco nei confronti del Longo e dell’attività da questi svolta». Lo aiuta a predisporre la difesa alla contestazione disciplinare, tenta di registrare una telefonata fra Longo e la collega etnea Lina Trovato sul “caso Calà”. E spesso, annota il gip, è presente Calafiore, «parimenti legato al Musco da un rapporto confidenziale».

Longo, scrive il gip, esercita la sua «indole mistificatoria» con un altro collega: Marco Di Mauro, che avrebbe ereditato molti dei fascicoli dopo il trasferimento in Campania dell’arrestato. Più di uno, al palazzo di giustizia, è pronto a scommettere che gran parte di quella decina di faldoni acquisiti lunedì dalla guardia di finanza di Messina siano proprio di Di Mauro. Longo per il gip esercita un’«influenza» sul collega, che «dall’esito della captazioni, in più occasioni dimostrava di condividere sia le sue argomantazioni sia quelle di Calafiore».

I rapporti di Musco e Di Mauro con Calafiore per il gip sono «meritevoli di approfondimento». Nessuno dei due, forse, ieri ha bevuto lo spumante.

Twitter: @MarioBarresi

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