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La verità di Caravaggio

Nel Seppellimento di Santa Lucia le mani di alcuni personaggi creano un rimando che serve al pittore per farci arrivare la voce spenta della morte di Dio

Di annalisa stancanelli |

Michelangelo Merisi, più noto come Caravaggio, nella sua epoca era considerato, soprattutto alla fine del 1500, il pittore più ricercato. Anche Siracusa custodisce una sua opera, “Il seppellimento di Santa Lucia”, che fa parte dell’ultimo periodo artistico del pittore. Per Giuseppe Fornari, autore del saggio “La verità di Caravaggio” si deve interpretare l’arte di Caravaggio leggendo i codici presenti nelle sue opere e i dipinti del periodo finale della sua vita, tra l’assassinio di Ranuccio Tomassoni, la fuga a Malta e il viaggio verso Roma, sono fondamentali.

Un viaggio di ritorno quello per la Città Eterna che non si concluse poiché Caravaggio morì nel luglio del 1810 forse a Porto Ercole. Anche la sua morte, il luogo e la dinamica, è ancora avvolta dal mistero. Fornari conferisce molto spazio all’interno della sua riflessione artistica e religiosa al quadro siracusano, una tela che testimonia un ripensamento cruciale nella vita del Merisi e nella sua ragione artistica. Opera di importanza fondamentale, la definisce, ufficiale eppure intima e dolorosa. Caravaggio è stato molto vicino alla morte, e la sente ancora imminente, poiché, se ci si riflette, dalla fuga da Malta, dove compì un delitto di cui nulla si sa con certezza, non uscirà vivo.

E’ una discesa infernale che il pittore combatte con la luce. E non si può non ricordare che la madre di Caravaggio si chiamava Lucia come la Santa a cui dedica la grande tela. Il quadro è visto e ripensato da Fornari in correlazione alle altre opere del pittore; “La morte della Vergine” e il gigantesco dipinto custodito nella Cattedrale di San Giovanni a La Valletta “La decollazione di San Giovanni Battista”. La rappresentazione che il fuggiasco e proscritto pittore dà della morte è simile nella tela che racconta la morte della Madonna con “gli operatori” della morte posti in primo piano e le figure di dolore rilegate in secondo piano. La figura e il ruolo dei “fossores” viene messo, in particolare, in rilievo da Fornari che opera anche un collegamento semantico con una citazione tratta da Friedrich Nietzsche in cui si trova un riferimento ai becchini. Nietzsche nella “Gaia Scienza” scrive “Dello strepito che fanno i becchini mentre seppelliscono Dio non udiamo ancor nulla?”. A questa frase Fornari abbina una riflessione sulla nuova “soglia” della rappresentazione della morte trovata da Caravaggio perché “a differenza di Nietzsche il pittore sa che la morte di Dio si rivela nel figlio ucciso dagli uomini e che in ogni essere umano che muore al pari di lui, in nome di lui, si ripete il suo messaggio”. La domanda che viene sussurrata in quella scena di esequie è su chi di noi è disposto ad ascoltarlo questo grido silenzioso che sta per essere interrato. Altra serie di importanti considerazioni vertono sui gesti degli astanti e sul ruolo semantico esercitato dalle mani. La gestualità è un vero e proprio codice comunicativo e quella di alcuni personaggi dei dipinti, maltese e siracusano, costituisce un elemento di grande valore. Le vecchie che con le mani si tengono il viso, si trovano ad esempio in entrambe le opere. Le mani impietrite e sgomente della vecchia inginocchiata nel quadro siracusano riprendono la posa attonita della vecchia nella Decollazione di Malta.

Altri dettagli importanti sono la posa della mano di Santa Lucia e la mano del soldato sulla destra, illuminata dalla luce che proviene da quella direzione, un soldato che per molti ha le fattezze del pittore. Le mani di alcuni personaggi creano un rimando che serve al pittore per farci arrivare la voce spenta della morte di Dio, incarnata nel corpo martirizzato di Santa Lucia.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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