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Scandalo inquinamento al Petrolchimico di Priolo: ecco le accuse ai colossi

Di Mario Barresi |

Americani e russi, avvinghiati allo stesso destino, sono – per definizione – esperti in guerre fredde. Hanno incassato il colpo, soprattutto dal punto di vista dell’immagine. Ma adesso ricominciano. In silenzio. «Il provvedimento, subordinato a misure che sono allo studio dei nostri tecnici, lascia attualmente la raffineria nel suo normale assetto operativo», ha subito precisato Esso Italia dopo la notifica del sequestro preventivo firmato dal gip di Siracusa Michele Consiglio.

E in effetti è così. I sigilli, nei tre impianti, non sono stati apposti. Il sequestro effettivo scatterà fra due settimane, se le due multinazionali non accetteranno le prescrizioni del gip Michele Consiglio. Che subordina la restituzione degli impianti «all’imposizione di prescrizioni per consentirne l’adeguamento alle norme tecniche vigenti».

Ieri sul nostro giornale abbiamo già detto delle otto persone – responsabili delle raffinerie, manager e addetti alla sicurezza di Esso e Isab – indagate come atto dovuto (legato al sequestro preventivo) con l’ipotesi di reato di inquinamento ambientale e impedimento di controllo. Ma i colossi del petrolio sono più preoccupati dai “compiti per casa” assegnati dal giudice. Con scadenze serrate e richieste tecniche complesse. Tanto più perché le prescrizioni, di fatto, rispecchiano in pieno la linea dell’accusa.

Un punto non indifferente a favore del procuratore Francesco Paolo Giordano. Il quale si fa forte anche di una voluminosa relazione tecnica firmata da «esperti di livello nazionale», fra cui Mauro Sanna (chimico, ex Arpa Lazio) e Nazareno Santilli dell’Ispra.

In un passaggio significativo delle carte, si spiega che «contrariamente a quanto risulta nelle relazioni Arpa, i fenomeni di cattiva qualità dell’aria attraverso lo studio dei venti e della posizione di stabilimenti e centraline sono risultati il più delle volte attribuibili a fonti certe». L’idrogeno solforato, ad esempio, «in assenza di fonti naturali, quali giacimenti di petrolio, è senza dubbio legato alle attività industriali che tipicamente lo producono, tra le quali spiccano le attività di raffineria». Insomma: viene smontata una tesi più volte sostenuta da politici e tecnici, anche dopo il tavolo in Prefettura (utile alle indagini il documento, così come il Rapporto Arpa 2015) al termine del quale si provò la presenza di inquinanti, ma non le fonti di emissione. Un “buco nero” che, nel seguito dell’inchiesta, potrebbe portare i pm a verificare responsabilità anche al di fuori delle aziende. E sarebbero oggetto di interesse investigativo anche alcune procedure di rilascio Aia (Autorizzazione integrata ambientale). Quella dell’Isab «si connota per la particolare genericità, lacunosità delle prescrizioni e per la presenza di scelte atipiche e talvolta anomale»; e c’è una presunta «inadeguatezza» nell’Aia rilasciata alla Esso, la cui raffineria, secondo i pm, «non è in linea con le prestazioni relative alle Mtd (Migliori tecnologie disponibili), né quelle più recenti (…) anteriori al rilascio della prima Aia».

Un duro atto d’accusa, per Esso e Isab. Ma ora che succede? Le industrie accetteranno le prescrizioni e le realizzeranno entro luglio 2018? La risposta doverebbe essere affermativa. In primo luogo, perché sottrarsi significherebbe chiudere. Con un costo di bonifica dei siti ben superiore all’adeguamento chiesto dal gip. Lo scenario più probabile è l’adeguamento degli impianti. Un percorso un po’ più agevole per Isab (che ha già aperto, al tavolo del ministeriale, un piano per molti versi simile a quello chiesto dal gip) e alquanto complicato per Esso, visto che l’iter di rinnovo delle Aia è ancora in istruttoria.

Ma le industrie stanno già studiando anche le contromosse. Si annuncia una guerra di perizie. Dopo la notifica dell’atto di sequestro preventivo, i vertici di Esso e Isab hanno già attivato studi legali e consulenti tecnici. «Ci siamo sempre comportati nel pieno rispetto delle autorizzazioni che ci sono state rilasciate». La tesi è questa. Ma andrà dimostrata, provando a smentire l’enciclopedica relazione dei periti della Procura. Come? Gli esperti sono già al lavoro, trapela soltanto che una delle strategie sarebbe fondata sulla non dimostrabilità del nesso fra cattivi odori e inquinamento dell’aria. Riusciranno a provarla?

Gli aspetti tecnici si legano però a quelli di politica industriale. Nel mercato globalizzato, cosa faranno i colossi di Usa e Russia dopo il chiaro segnale che i petrolieri, dopo quasi 70 anni, a Siracusa non sono più “intoccabili”? Questo, forse, è il vero nodo da sciogliere.

Twitter: @MarioBarresi

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