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La summer school

L’interazione tra scienze sociali e tecnologia per rendere più umana la società dei robot

Di Gianluca Reale |

Robotica e scienze sociali hanno sempre più bisogno di condividere conoscenze ed esperienze. E’ questa l’idea di fondo della prima edizione della la summer school “Almost Humans: Robotics, Healthcare and STS”, organizzata dalla Società italiana di studi su Scienza e Tecnologia (Sts Italia) e dal dipartimento di Scienze politiche e sociali dell’Università di Catania (Dsps), con il contributo finanziario e scientifico dei dipartimenti di Matematica e Informatica (Dmi) e di Ingegneria elettrica, elettronica e informatica (Dieei) dell’Università di Catania e di Neodata Group.

La scuola, i cui lavori sono cominciati lunedì scorso e si concluderanno domani, ha come oggetto di studio il tema “Robotica e Società”, scelto dal comitatio scientifico e organizzativo di cui fa parte anche il professore Guido Nicolosi (docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi). Un fil rouge attorno a cui dipanare le sessioni che vedono impegnati 12 studenti (dottorandi), quasi tutti provenienti dall’estero (Europa e Messico) eccetto un’italiana.

Nessun siciliano, professore Nicolosi?«No purtroppo e ci dispiace, ma diciamo che la specificità della scuola è mettere insieme scienze pure e scienze sociali attorno al tema del rapporto tra robotica e società e su questo tipo di interazione tra scienze ingegneristiche e informatiche e scienze sociali e umanistiche in Italia, e a Catania, forse siamo ancora un po’ indietro. Però, devo dire che attorno alla summer school c’è stata grande attenzione e tutti hanno accolto con grande entusiasmo questa iniziativa. Mi auguro che in futuro ci saranno anche studenti catanesi».

Da Nathanael Jarassé (ISIR, Parigi) a Louis Neven (Avans University of Applied Sciences, The Netherlands), da Giovanni Muscato (Università di Catania) a Fiorella Operto (Scuola di Robotica and CNR, Genova), da Michael Schillmeier (University of Exeter, Gran Bretagna) a Bruno Siciliano e Guglielmo Tamburrini (Università di Napoli). Avete messo a ssieme un parterre di relatori ed ospiti mica male. «Stiamo cercando di fare un ragionamento in generale sulla robotica e sulle implicazioni sociali, in relazione a rischi e opportunità di un impatto sempre più forte di queste macchine nella vita quotidiana, ben oltre il loro impiego industriale».

E quali possono essere rischi e opportunità, visto oggi i robot cominciano ad assolvere a compiti finora prettamente umani: assistenti domestici, receptionist di hotel, barman, chirurghi. Gli scenari cominciano ad essere quelli dei romanzi di Philip Dick…«Diciamo che ci sono utopie e distopie, ma la verità è che i robot nella nostra società sono già molto presenti. Ci sono tante macchine autonome, che non hanno sembianze umane. Prendiamo le automobili a guida autonoma, sono già forme di robot. E le implicazioni etiche che pone un’auto di questo tipo sono enormi: Ad esempio, la programmazione di queste auto robotizzate comporterà la necessità di porle di fronte a dilemmi: davanti a un ostacolo, quale scelta fare tra salvaguardare l’incolumità del conducente o dei pedoni? E’ una caso banale di studio, ma significa che le macchine saranno costrette poter fare delle scelte, anche molto delicate, con implicazioni etiche».

Potrà venire in soccorso l’intelligenza artificiale e il machine learning?«Assolutamente. Anche in ambito bellico possono esserci grandi problemi etici da affrontare, come il caso del bombardamento via droni: chi e come decide sul sacrificio di eventuali civili rispetto ad obiettivi militari prefissati? Un enigma che si pone sempre più quando le decisioni sono demandate alle macchine. Anche il cinema comincia a porci di fronte a questo problema».

Che futuro dobbiamo aspettarci in una società con una maggiore presenza di macchine robot?«Nessuno si sbilancia in previsioni. Ma è evidente che già adesso queste macchine ci sono, sempre più cu tengono compagnia o ci curano, come il chirurgo robotico Da Vinci. Sono sempre più macchine sociali e quindi teoricamente dovrebbero essere “socievoli”. Tutti concordano sul favorire una interazione maggiore e per questo non diventano più un affare di ingegneri e programmatori, ma forse c’è bisogno di scienze sociali».

Oggi c’è già questa interazione così profonda tra i due settori?«Non ancora, sicuramente non Italia. Ma anche i nostri studenti internazionali concordano nel dire che c’è scarsa interazione un po’ dappertutto. In Italia sembreremmo particolarmente indietro su questo fronte».

In questa partita entra anche l’interazione tra scienze sociali e big data? «Assolutamente sì. Anche in base alle interazioni già esistenti tra queste discipline, il nostro ateneo ha colto con il favore dei singoli dipartimenti e dei singoli docenti questa summer school. C’è ancora molto da fare, ma è bello che sia sia riusciti a farla qui in Sicilia, in Italia, spesso considerata indietro su questo fronte. Invece a Catania il comparto tecnologico c’è ed è ben presente».

Questa è la prima edizione di una lunga serie?«Ce lo auguriamo e il fatto che vengano da tutta Europa ha un valore significativo, perché di cose così non se ne fanno tante. Abbiamo fatto un progetto di avanguardia, europea».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA