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Mafia, famiglia, pizzini e affari: così si sta sgretolando la rete di Matteo Messina Denaro

Di Fabio Russello |

Una rete di fiancheggiatori che ha consentito e consente ancora la latitanza di Matteo Messina Denaro, il boss ritenuto il capo di cosa nostra dopo la morte di Totò Riina e che ancor oggi riesce a imporre la sua legge sul territorio. E’ stata sgominata dai carabinieri del Ros e del Comando provinciale dei carabinieri di Trapani, dai poliziotti delle Squadre mobili di Palermo e Trapani e dello Sco e dal personale della Dia che hanno fermato, su decreto dei pm della Dda palermitana 22 persone (qui l’elenco dei nomi), ritenute affiliate alle famiglie mafiose di Castelvetrano, Campobello di Mazara e Partanna. Tutti sono accusati a vario titolo di associazione mafiosa, estorsione, danneggiamento, detenzione armi e intestazione fittizia di beni, tutti reati aggravati dalle modalità mafiose. Una persona è stata invece fermata per concorso esterno in associazione mafiosa. Il provvedimento di fermo è stato necessario anche perché si temeva che i contrasti interni ai clan potessero sfociare in una aperta guerra di mafia a causa dei contrasti soprattutto legati all’eolico, ma anche ad alcune nomine, come quella di Dario Messina a capo del clan di Mazara o per gli affari legati alle scommesse.

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Tra i destinatari del provvedimenti c’è anche Matteo Messina Denaro che, secondo i magistrati, mantiene saldo il controllo dei clan in provincia di Trapani e di due suoi cognati, Gaspare Como e Rosario Allegra.

Le indagini – spiegano i magistrati della Dda di Palemro – hanno disvelato le dinamiche dei mandamenti mafiosi di Castelvetrano e Mazara del Vallo, accertando anche il ruolo di vertice assunto dagli esponenti della famiglia dei Messina Denaro, ma anche le gerarchie e soprattutto il capillare controllo del territorio ed il sistematico ricorso all’intimidazione per infiltrare il tessuto economico locale.

L’inchiesta che ha portato al provvedimento di fermo fa capo ad una serie di filoni investigativi portati avanti nel Trapanese dai carabinieri, dalla Polizia e dalla Dia.

IL COGNATO. E le indagini hanno documentato il ruolo di vertice di Gaspare Como, cognato di Matteo Messina Denaro, designato dal boss reggente del mandamento di Castelvetrano dopo gli arresti effettuati tra il dicembre del 2013 e l’agosto del 2015 con i blitz Eden e Ermes che avevano portato in carcere altri fiancheggiatori del latitante, compresi anche alcuni familiari. E tenuto conto che Matteo Messina Denaro pretende che ci sia sempre un esponente della sua famiglia al vertice del clan ecco che ha incaricato il cognato diventato capo del mandamento di Castelvetrano a partire dai primi mesi del 2016. Gaspare Como, durante tale periodo, ha esercitato la sua leadership attraverso un ristretto circuito di sodali di provata affidabilità composto – dicono gli investigatori – da Antonino Triolo, titolare di una agenzia di pratiche auto a Castelvetrano, di Vincenzo La Cascia, ritenuto uomo d’onore della famiglia di Campobello di Mazara, Calogero Guarino, gestore di una frutteria a Castelvetrano, Vittorio Signorello, dipendente civile dell’aeroporto Trapani Birgi.

I PIZZINI. Dalle intercettazioni ambientali all’interno dell’agenzia pratiche auto di Triolo, dove si incontrava con Como, sono emersi elementi soprattutto su come si comunicava con Nicola Accardo, capo della famiglia di Partanna e di cui Triolo si è rivelato essere il principale braccio destro. Ma in queste conversazioni si è avuta la conferma della centralità della figura di Matteo Messina Denaro che continua a dare ordini attraverso il cognato e con i pizzini smistati da Nicola Accardo.  Le inchieste hanno anche messo in luce i rapporti e le dinamiche nei clan di Castelvetrano e Mazara del Vallo. Un ruolo di primo piano è appunto quello di Nicola Accardo, figlio di “Ciccio”, al vertice della famiglia mafiosa di Partanna, nella cui casa le microspie hanno ascoltato la lettura di riservatissima corrispondenza, attraverso il sistema dei “pizzini”, di Matteo Messina Denaro e diretta sia alla sua famiglia di sangue che agli esponenti del clan.

I CONTRASTI. E nelle intercettazioni si è capito che tra i mafiosi di del mandamento di Castelvetrano, soprattutto tra esponenti dei clan di Campobello e quelli di Castelvetrano sulla spartizione di proventi illeciti ci sono forti contrasti che Gaspare Como, ha cercato di dirimere per conto di Matteo Messina Denaro. E sarebbe in questi contrasti che andrebbe inquadrato l’omicidio di Giuseppe Marcianò avvenuto a Campobello di Mazara il 6 luglio del 2017.

LE ESTORSIONI. Le intercettazioni hanno documentato le estorsioni a imprenditori dell’area, una serie di danneggiamenti su beni per punire atteggiamenti irrispettosi di soggetti riottosi all’autorità mafiosa, e la disponibilità di armi e munizionamento. Particolarmente attivi in quest’ambito, secondo la Dda di Palermo, sono stati gli indagati Giuseppe Tilotta, Giuseppe Bongiorno e Leonardo Milazzo i quali avrebbero messo a segno le intimidazioni su ordine del boss Gaspare Como.

LA VENERAZIONE PER IL BOSS. Dalle intercettazioni è anche emersa una vera e propria venerazione da parte dei membri dei clan al latitante Matteo Messina Denaro, perché ritenuta figura carismatica e ancor di più dopo la morte di Totò Riina.

IL MURALES CANCELLATO. Emblematica dicono gli investigatori in tal senso, è stata la solerzia dimostrata da Angelo Greco, uomo d’onore di Campobello di Mazara, ritenuto vicinisso al boss latitante tanto da avere saputo che Messina Denaro nel dicembre del 2012 sarebbe stato momentaneamente nella zona di Marsala, che si è premurato di cancellare una scritta irriguardosa comparsa su un muro di Campobello, nel gennaio dei 2013 nei confronti di Matteo Messina Denaro, attivandosi anche per ricercare il responsabile.

L’ASCESA DI MESSINA. I pizzini restano ancora un sistema di comunicazione efficientissimo per dirimere controversie, dare ordini e dare incarichi, come quello di reggente del mandamento di Mazara del Vallo, a Dario Messina. Una ascesa registrata quella di Dario Messina, già durante la detenzione domiciliare del capomafia Vito Gondola, scomparso di recente, e non priva – dicono gli investigatori – di documentati contrasti e di importanti progettualità criminali. C’erano infatti diverse divergenze tra i diversi mandamenti sulla gestione del realizzando parco eolico di Mazara, come frizioni c’erano all’interno del mandamento di Mazara del Vallo durante l’ascesa, prima della formale investitura di Dario Messina. Tra i fermati oltre che lo stesso Messina ci sono anche due suoi “collaboratori”, Bruno Giacalone e Marco Buffa, quest’ultimo dichiaratosi “capo decina” di Petrosino Strasatti.

LA FAMIGLIA PRIMA DI TUTTO. Matteo Messina Denaro per assicurarsi il controllo delle attività illecite e dei relativi proventi economici, ha privilegiato nella scelta delle persone da mettere al vertice delle cosche il criterio “dinastico”, individuando sempre persone soprattutto appartenenti alla propria cerchia familiare, affinché il vincolo “mafioso” coincidesse pienamente con il vincolo “di sangue”.

GLI AFFARI. Le intercettazioni hanno consentito di accertare che alcuni degli indagati, attraverso prestanome insospettabili, sono intervenuti in aste giudiziarie al fine di riappropriarsi anche di beni sequestrati in precedenti operazioni antimafia e si è documentato nuovamente l’interesse della criminalità organizzata per il settore delle scommesse, attraverso la gestione di numerosi “punti gioco”, oltre alle attività tipicamente mafiose quali estorsioni e danneggiamenti.

LE SCOMMESSE. E infatti a Carlo Cattaneo, imprenditore nel settore dei giochi e scommesse on line, è stato contestato il reato di concorso esterno all’organizzazione mafiosa, per aver posto una serie di condotte volte a favorire l’acquisizione e la gestione da parte dell’associazione di tali rilevanti atttività economiche, provvedendo, tra l’altro, al sostentamento economico del circuito familiare di Matteo Messina Denaro.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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