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Decapitato il clan di Alcamo: così la mafia imponeva il pizzo e tentava di condizionare il voto

Di Fabio Russello |

L’operazione Freezer della Polizia e della Dia di Trapani, che all’alba di oggi ha portato in carcere sei persone, smantellando la cosca di Alcamo, si è avvalsa anche delle denunce di alcuni imprenditori vittime di estorsioni.

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L’attività investigativa iniziata nel 2012 si è ulteriormente arricchita grazie alle indagini della Dia di Trapani, tra il 2015 e il 2016, a seguito delle denunce di alcune di alcune vittime. E’ emerso così che l’attività della cosca si concentrava sulle estorsioni ai danni di imprenditori che lavoravano in quel territorio.

“Esemplare” per gli investigatori è il caso di un’estorsione ai danni di un’impresa edile alcamese impegnata nella costruzione di ville estive ad Alcamo marina. L’azienda, infatti, dopo aver versato complessivamente 3500 euro, avrebbe dovuto pagare anche dai 1500 ai 2000 euro per ogni villa costruita, a seconda della cubatura. Ignazio Melodia cercò di imporre il pizzo anche un’impresa edile di Mazara del Vallo che stava eseguendo lavori nel suo mandamento.

“Per questo motivo, ribadendo con fermezza le rigide regole mafiose – spiegano gli investigatori -, ha cercato l’assenso del boss di Mazara del Vallo, Vito Gondola, per il tramite di Antonino Stella, originario di Marsala”.

Dalle indagini emergono le ingerenze di Cosa nostra nelle amministrative del 2012 e del 2016 con una serie di minacce e pressioni per ottenere vantaggi e voti. Le indagini hanno permesso di accertare le ingerenze di Cosa nostra non solo nelle amministrative del 2012 ma anche in quelle dello scorso anno. A occuparsi dei rapporti con la politica era Salvatore Giacalone, 62 anni, finito oggi in carcere. Secondo gli investigatori della Polizia nel 2012 l’allora sindaco, Sebastiano Bonventre, avrebbe ricevuto pressioni da lui. In particolare, Giacalone avrebbe spiegato al primo cittadino che la sua posizione lo esponeva a rischi e che “loro” erano pronti a intervenire a sua difesa.

Dalle indagini della Dia è emerso, però, anche il ruolo di Giuseppe Di Giovanni, un altro degli arrestati, in occasione delle elezioni amministrative del giugno 2016. L’uomo avrebbe procacciato voti con minacce anche a mano armata a favore della compagna Alida Maria Lauria, candidata per la lista civica Insieme si può. La donna non fu eletta ma ottenne 140 preferenze. Di Giovanni coinvolse anche Ignazio Melodia, ritenuto dagli investigatori a capo del mandamento di Alcamo, accompagnandolo presso la sede elettorale e riferendogli il nome di chi si opponeva alla candidatura della compagna.

La figura principale dell’inchiesta è proprio Ignazio Melodia. Scarcerato, dopo 10 anni, nel luglio del 2012 era tornato a capo della cosca di Alcamo. Dettava ordini e imponeva le rigide regole mafiose. Laureato in medicina e per questo detto “u dutturi”, Melodia lavorava all’Ufficio d’igiene di Alcamo ed era medico della Asl di Trapani. Era stato già condannato a lunghe pene detentive per delitti di partecipazione mafiosa ed estorsione, ma dopo ogni arresto era tornato saldamente a capo del mandamento.

Di Ignazio Melodia il pentito Vincenzo Ferro ricorda il giorno dell’iniziazione, avvenuta a Dattilo nel febbraio del 1996. Melodia venne affiliato dal super latitante Matteo Messina Denaro in persona. Lo stesso Ferro avrebbe dovuto prendere il posto di Antonino Melodia come gli aveva detto un altro pentito Vincenzo Sinacori, ma poi Ferro rifiutò per lasciarlo al medico “in quanto – disse – era persona ben conosciuta nel paese perché medico, fratello di Antonino e titolare di un ufficio pubblico che rilasciava certificati di abitabilità”. -A confermare il suo ruolo di vertice nella gestione degli affari ci sono anche i dialoghi intercettati in carcere dalla Squadra mobile di Trapani tra i mafiosi Diego Rugeri e Michele Sottile di Castellammare del Golfo, arrestati dalla Polizia nel 2012 nell’operazione Crimiso. Le conversazioni captate dalle cimici degli investigatori hanno permesso, però, anche di allargare le indagini ad altri soggetti. Primo tra tutti Salvatore Giacalone, anche lui finito oggi in manette, detto il professore, ex insegnante e già condannato per associazione mafiosa nel 2002.

Vito Turriciano, esponente della famiglia mafiosa di Castellammare del Golfo, è stato arrestato dai carabinieri nel mese di marzo 2016, nell’operazione Cemento del Golfo, insieme al boss Mariano Saracino e ad altre tre persone. “Antonino Stella, sebbene immune da precedenti penali – spiegano gli investigatori – fu indicato da un collaboratore di giustizia come vicino alla famiglia mafiosa nel senso che è disponibile a eventuali favori da fare per i componenti della stessa.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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