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Catania, la second life del D’Alema “populoso”: “Renzi è già vecchio” E riabbraccia pure Mirello

Di Mario Barresi |

Catania. E Renzi? Sulla punta della lingua ha un «è peggio di Berlusconi». Ma Massimo D’Alema – un ciclone che si abbatte sulla Festa dell’Unità, spazzando il Pd e soprattutto quel cartello “L’Italia che dice sì” che campeggia dietro di lui – alla fine dice “soltanto” che Matteo è vecchio, «sta diventando un politico tradizionale come tutti gli altri». Il che, detto da quel signore di 69 anni coi baffi, sempre saccente quanto brillante, fa una certa impressione. Anche al netto della promessa: «Non sono candidato alla guida del Pd». Ma mentre parla del «segretario del mio partito», lo sommergono gli applausi. Il premier, per D’Alema, è uno «normale». Lo dice con l’accezione negativa di un aggettivo usato, con ben altro senso, nel suo libro Un Paese normale.Renzi, dunque, è «normale». Cioè, «con tutti i difetti del caso, dalla lottizzazione della Rai al resto…». La Rai, sottoposta a una «occupazione brutale» e alla «cacciata dei dissidenti» tali che «solo Berlusconi era arrivato a tanto». E poi, affonda con ferocia, «io mi dimisi da presidente del Consiglio dopo aver perso le elezioni in modo mooolto meno catastrofico di come Renzi ha perso le ultime».

D’Alema piomba sulla Festa del Pd e la riempie di scintille, oltre che di pubblico. E, nel dibattito col ministro degli Esteri, Claudio Gentiloni, incassa una prima vittoria in un casereccio sondaggio fra la platea. Altro che “Le sfide della sinistra nel disordine mondiale”: qui il pubblico vuole vedere scorrere il sangue sul referendum. E il direttore del Foglio, Claudio Cerasa, lo accontenta subito. «Cosa voterete?». Le mani che si alzano per il no sono assai più numerose: sette su dieci. Segue ovazione, con Baffino che si dà i pugnetti sulle labbra come ai tempi del celebre Fu-Fu.All’invito di Cerasa, nelle prime file – occupate dai big siciliani del partito – serpeggia un certo imbarazzo. Per non dire panico. Qualcuno è coerente e mostra (inquadrato dalle telecamere di UnitàTv) il sostegno alla riforma. Qualche deputato/a , come se fossimo davanti alla Bocca della verità in “Vacanze Romane”, quella mano birichina se la sega. Astensione per mancata ostensione dell’arto: non si sa mai cosa succede da novembre in poi.Sulle retrovie, intanto, Giacomo Rota (segretario della Cgil di Catania e marito della deputata regionale Concetta Raia) fa il capo degli ultras del no, osservato con schifato distacco dai “compagni” di partito Luca Sammartino e Valeria Sudano.

A Catania è una notte di coltelli e di ferite. Laceranti. La notte di D’Alema. Prima del confronto sul ring referendario, il consueto giro fra gli stand della Festa. In quello del gruppo all’Europarlamento, accompagnato da Michela Giuffrida, ghigna: «Io in Europa ci lavoro, mentre in Italia ho soltanto qualche hobby…». Gli danno pure un libro su Sant’Agata e lui apprezza, quasi fosse un devoto. Lo aspettano al gazebo dell’Ateneo romeno dove campeggia Vladimiro Crisafulli. E visto che Max-Maometto non va lì, è la montagna-Mirello ad andare da lui: un abbraccio nel backstage. Ironizzano assieme sulla trovata dello stand: «Sei sempre il solito, non cambi mai», gli dice D’Alema. E Crisafulli ricambia giurandogli fedeltà eterna: «Io l’ultimo dei dalemiani di Sicilia? Macché: ero e resto il primo. Massimo è un gigante fra i nani».

L’ex premier si sofferma con cordialità anche con la senatrice Anna Finocchiaro, ex sua pupilla, oggi sacerdotessa della riforma Boschi. «Era meglio che il dibattito contro D’Alema lo faceva Anna, lei sì che gliele avrebbe cantate!», diranno al termine del confronto molti renziani sconsolati.

Eppure Gentiloni prova a tenere botta. Prende atto che nell’arena infuocata di Catania, da esponente della maggioranza del Pd, è in minoranza. È «il pluralismo di un partito che ha scelto questa riforma», abbozza in contropiede. Quando D’Alema evoca il «patto con Verdini, amico di Lotti da vent’anni», lui gli rinfaccia quello «con Mastella, per cacciare Prodi». E, ricordandogli che «chi vince il congresso guida il partito e chi lo perde accetta la sconfitta ma non gioca a rompere», lo addita come «signor no», un ruolo che «contraddice la sua biografia». E lo sfotte sull'”uovo di Colombo”: una «riforma all’americana, tre articoletti e una paginetta, me l’aspetto dai grillini, non da te Massimo!».

Ma D’Alema, dopo l’attacco al cuore del renzismo («i poveri e i lavoratori non ci votano più») ha gioco facile sugli schieramenti: «Io sono dalla parte di Cgil e Anpi, tu di Confindustria, grandi banchieri e del signor Marchionne che paga le tasse in Lussemburgo ma gli stanno molto a cuore le riforme in Italia». È qui che la platea s’infiamma. Compreso Angelo Sicali, in gioventù picchiatore missino, poi in prima linea con An. «Perché sono qui? Perché c’è D’Alema! C’è la politica». Concetto apprezzato dal signore della porchetta di Ariccia: «Oggi serata record, ci fosse sempre lo zio Massimo…».

Intanto D’Alema sferra il colpo del ko a Gentiloni: «Con questa riforma avete spaccato il Paese». Accoppiata all’Italicum doveva essere «un vestito su misura per Renzi, ma lo dovrete riadattare alla taglia di Di Maio». Quant’è lontano il D’Alema criticato per le scarpe (quelle, pure, su misura…) da duemila euro al paio e le gite in yacht. Finisce con un bagno di folla. Del popolo della sinistra. Quello che dirà no. Abbracci, selfie, urla, strattoni: lui non si sottrae, anzi. Da Catania, ieri sera, parte la second life di un D’Alema rinato. “Populoso”, osiamo dire. E (quasi) più simpatico.Twitter: @MarioBarresiCOPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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