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Il mondo del sottosuolo Il mito di Demetra e Kore tombaroli e lettere anonime

Di Salvatore Scalia |

Filippo Scalmato, tabaccaio nella centrale piazza Filippo Cordova ad Aidone, è un collezionista di lettere anonime: nel retrobottega ne custodisce una voluminosa carpetta. Scritte a mano, a macchina, a stampatello, le ha raccolte nel corso di lunghi anni. Ogni volta che si diffondeva la notizia di un ritrovamento si correva da lui per chiedere informazioni: se per caso ne sapesse qualcosa, se l’avesse vista, se gliela avessero portata per fare fotocopie e che cosa ne pensasse. “C’era chi ne voleva una copia per studiarsela a casa.”

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Una lettera mostra l’impronta di una scarpa, segno che è stata calpestata prima di essere raccolta. In quei fogli sono racchiusi i peccati veri, presunti e immaginari di Aidone. Tutto ruota sulla lussuria e il potere, sui soldi e le corna. Nella cittadina che ha nel suo territorio, a quattro chilometri di distanza, gli scavi della città greca di Morgantina, la peculiarità delle missive è costituita dalle accuse sul traffico clandestino di reperti archeologici.

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Esercizi di risentimento, sadismo, malizia, sfoghi d’invidia, le lettere sembrano l’esplosione del sottosuolo della coscienza, lo scatenamento di pulsioni demoniache, un disvelamento di colpe che si fa scudo della vigliaccheria, colpa essa stessa. Questi piccoli diavoletti pettegoli e affaccendati a indagare sui peccati degli altri sembrano i moderni eredi di Ade, che, racconta il mito, proprio in queste ridenti contrade, tra monti e valli, uscito da un fenditura della crosta terrestre, rapì la bella Kore, figlia di Demetra dea del grano, portandola nel regno degli Inferi. Dovette intervenire Zeus perché la fanciulla potesse trascorrere metà dell’anno con Ade e l’altra metà con la madre, spiegazione simbolica dell’alternarsi delle stagioni, del risveglio della primavera e del letargo invernale.

Le firme delle lettere denotano però una mentalità burocratica: Gli Attenti osservatori, oppure Il Comitato. In una, inviata per posta al tabaccaio, figura anche il mittente fasullo mentre la via Erbita e il numero civico 47 sono veri. La denuncia del Comitato, dopo avere infangato quanti più possibile, chiede comprensione: “Noi povera gente siamo nelle mani dei truffaldini e delle zoccole in calore.”

Un’altra lettera è una rassegna sulle Famiglie illustrissime di Aidone. L’incipit è licenzioso: “La figlia è una zoccola a dir poco, i poliziotti del distretto di P. Armerina conoscono i segreti più intimi e i pensieri più focosi… la madre è più zoccola della figlia.” Scontato “il cornuto dell’angolo opposto” ma geniale la vedova che “si consola vendendo reperti di Morgantina.”

Euekei, benvenuto, si legge nella scritta sul pavimento all’ingresso di una stanza nei ruderi della città greca. L’ospitalità e la cortesia sono rimaste ben vive, tanto è vero che il veneratissimo San Filippo apostolo è sospettato dai paesani di fare più miracoli ai forestieri, per cui il primo maggio, giorno della sua festa, la sua statua esce dalla chiesa di spalle con il viso rivolto all’interno per evitargli tentazioni. Ogni anno arrivano cinquantamila devoti, molti s’inerpicano a piedi fino agli ottocento metri del paese.

A trafficare con il sottosuolo ad Aidone sono abituati tra minatori di zolfo, tombaroli e archeologi. Dal dicembre 2009 a intervalli di tempo si registrano i ritorni di reperti di grande valore venduti clandestinamente all’estero. La breccia è stata aperta dal pentimento del tombarolo Giuseppe Mascara. Gli acroliti di Demetra e Kore sono stati restituiti dal Museo della Virginia; dal Metropolitan Museum è tornato il tesoro di Eupolemos, sepolto nel 211 avanti Cristo per sottrarlo agli invasori romani; e dal Paul Getty Museum di Malibù la Venere di Morgantina. È l’esito di una storia di scavi clandestini, di affari lucrosi, di danni irreparabili per l’archeologia, di indagini, analisi e confronti, di magistrati agguerriti e appassionati, di carabinieri e trattative diplomatiche. Aidone in fatto di Diritto sul recupero di reperti archeologici e artistici fa scuola.

Il clamore del ritorno delle dee ha ridato fiato alla cittadina, divenuta un polo d’attrazione culturale. Un comune troppo piccolo ha però avuto mille difficoltà a gestire un patrimonio così grande, nonostante le sinergie con la villa romana di Piazza Armerina, anche per l’insipienza della politica regionale, che ha stipulato accordi assurdi come quello di esporre il tesoro di Eupolemos alternativamente ad Aidone e a New York. Trattare con i potenti produce ebbrezza alcolica. In una coppa per il vino del tesoro del resto è effigiata Scilla, monito perché l’eccesso del bere non annebbi il cervello facendolo naufragare.

L’ultimo capolavoro recuperato dall’America è una testa di Ade in terracotta, attualmente esposta a Lampedusa. Ci si prepara a festeggiare degnamente il ricongiungimento del dio degli Inferi con la moglie e la suocera nel museo archeologico.

A collegare il reperto a Morgantina è stata la pubblicazione di un libro dell’archeologa Serena Raffiotta, con la foto di un ricciolo di barba custodito nel deposito del museo. Il volume fu donato nel 2007 all’archeologa palermitana Lucia Ferruzza, che si ricordò di avere visto al Getty Museum di Los Angeles una barba con riccioli simili. L’intuizione si rivelò giusta. Fatti i confronti e le analisi, divenne inoppugnabile che quel pelo apparteneva ad Ade. I tombaroli avevano portato alla luce e venduto persino il dio degli Inferi. A riportarlo in Italia ci hanno pensato magistrati di Enna e carabinieri. Nel frattempo sono stati ritrovati altri tre riccioli.

I primi scavi a Morgantina furono fatti dal 1884 da Paolo Orsi e dall’ingegnere Luigi Pappalardo. La prima campagna sistematica nel 1955 si deve all’archeologo svedese, docente all’Università americana di Princeton, Erik Sioqvist, e alla passione per l’archeologia del re di Svezia Gustavo VI Adolfo. Collaborava Richard Stilwell. Da anni le ricerche sono condotte da Malcom Bell dell’Università della Virginia. Alla luce è stata portata solo una piccolissima parte della città e già così è un sito di grande fascino e suggestione. Nell’agorà due altari sono dedicati a Demetra e Kore, in quello di quest’ultima si apre una fenditura, come a permettere l’andirivieni della dea tra la luce e le viscere oscure della terra.

L’euforia dei ritorni delle dee ad Aidone si è dissolta come le speranze di sviluppo turistico ed economico. Il sindaco Enzo Lacchiana parla di settantamila presenze l’anno, ma è un numero dettato più dal desiderio che dalla realtà. I dati della Pro Loco sono ben più deludenti, e noi stessi al museo abbiamo incontrato un solo visitatore, mentre a Morgantina c’erano quattro turisti stranieri, una coppia di giovani e un’altra di anziani. Neanche i biglietti cumulativi con la villa dei mosaici di Piazza Armerina hanno funzionato perché non sempre il sito era aperto per carenza di personale.

“Quest’anno, ironizza la giornalista Angela Rita Palermo, sono diminuiti anche i pellegrini di San Filippo.”

Nonostante la buona volontà gli amministratori si sentono impotenti. Il sindaco, berlingueriano del Pd, ripete convinto che Aidone è una città d’arte, per la sua storia millenaria, ma può parlare di progetti futuribili, della vendita di un palazzo che diverrà un albergo a cinque stelle, di un albergo diffuso, di strutture di là da venire. Attualmente ci sono nove bed and breakfast e cinque ristoranti.

L’avvocatessa Zagara Palermo, giovane vice sindaca innamorata di Aidone e della sua storia, più realisticamente auspica un flusso turistico costante ma a misura di un piccolo centro. Ha avuto una bambina, che ora ha poco più di quattro mesi, e vorrebbe costruire un futuro qui per le nuove generazioni.

“I grandi numeri non fanno per noi”, aggiunge Serena Raffiotta.

Oltre all’archeologia le attrattive non mancano: una bella biblioteca con libri del Cinquecento e del Seicento, piazze spaziose e ben tagliate, anche se qualcuna a due passi dal centro invasa dalla spazzatura, la chiesa di San Domenico con bugnato a punta di diamante esempio raro per gli edifici sacri, e la torre Adelasia di origine normanna con rifacimenti gotico catalani e settecenteschi.

Aidone ha dato i natali ad un grande personaggio del Risorgimento e dei primi anni post unitari, Filippo Cordova, liberale e massone, che fu nominato da Cavour segretario generale alle Finanze e più volte ministro con Rattazzi e Ricasoli.

Il blasone del passato è sbiadito, oggi si sentono i morsi della crisi economica. È ripresa l’emigrazione, soprattutto giovanile diretta a Londra. Il paese, che nel 1951 contava più di diecimila abitanti, ora è sceso a 4889. Nel 2015 le partenze, 105, sono state compensate dall’arrivo di 150 extracomunitari. Nel primo Novecento si emigrava verso New York e l’America latina; nel secondo dopoguerra soprattutto in Germania, nelle zone di Mannheim, Saarbrücken e Colonia.

Chi resta si occupa di agricoltura, coltiva grano, olive e olio. Il Comune ha 35 impiegati di ruolo e 34 precari. Una fabbrica produce il piacentino, dal latte di pecora con aggiunta di zafferano. In passato gli emigrati con i loro risparmi hanno ampliato le loro piccole case, aggiungendo un piano sull’altro. Ora molte sono abbandonate o troppo grandi e un peso per l’eccessiva tassazione.

Filippo Rosella, che si definisce scarparo per un’esperienza giovanile alla Rinascente di Milano, si augura che suo figlio, classificatosi terzo in una gara studentesca regionale di chimica, sia ammesso nelle università russe a spese dello Stato. È un uomo di destra e, se prima l’odiato comunismo sovietico era il simbolo di tutti i mali, ora ammira Putin per la sua politica di potenza e per l’accoglienza agli studenti meritevoli del mondo. “Se tutto va bene, mio figlio ad Aidone non deve passare neanche da lontano. Che speranze ci sono per i nostri figli qui?”

Chi invece è palesemente a suo agio, nel paese in cui si venera un santo nero come San Filippo, è Rashid, ventitreenne nigeriano di Lagos, approdato in Sicilia su un gommone e qui da oltre due anni. Alto, magro, con le treccine, lavora occasionalmente ma non vuole rivelare perché ha lasciato la sua terra: “Motivi personali, chi deve sapere sa.”

Ad Aidone si subisce una sorta di spaesamento acustico per la cadenza e i suoni del dialetto gallo italico, che richiama altre latitudini e lontane origini tra Lombardia e Francia.

La peculiarità esclusiva però sono la musica e un ballo tradizionali: lo scortz. Questo è un paese musicale. Finito il lavoro, innamorato del jazz, nel suo negozio suona il sax e il basso Filippo Ciantia, che con la moglie Sara, inforna giamelle e i biscotti tipici impastati con il vino bianco: Lavora la pasta a mano perché se ne deve sentire l’anima.

Suona nella banda, anzi una vera orchestra, Serena Suffia che dopo il liceo si è inventata un lavoro di ceramista.

E suonano, come se il tempo si fosse fermato, i fratelli Giuseppe e Lorenzo Zammataro, barbieri. Nel salone in cui l’arredamento risale al 1967, “allora era d’avanguardia”, eseguono rumbe e scortz. Fanno ancora le serenate di cui hanno vissuto gli anni belli.

“Una volta – racconta Giuseppe – si corteggiava con lo sguardo, poi si seguiva la ragazza per un mese o due e infine ci chiamavano per la serenata. Se il giovanotto non si era ingannato, tutto filava liscio, altrimenti ci beccavamo qualche secchiata d’acqua, una pietrata o una bastonata.”

Aidone è un paese godereccio non per nulla qui hanno inventato il Carnevalone, un Carnevale che comincia una settimana dopo l’Epifania e si conclude il sabato dopo le Ceneri. Per giustificare la voglia di non finirla più con maschere e balli, hanno inventato la leggenda del povero pastorello che arriva in ritardo alla festa e per farlo contento la prolungano. Si balla al Circolo Artigiani, 77 soci, e al Circolo democratico, 130 iscritti. Nel primo, di tradizione repubblicana, spiccano le foto di Mazzini e Garibaldi; nel secondo, ex Casino dei nobili, un tempo interdetto a preti e donne, quelle di Gaetano Scovazzo e Filippo Cordova. Qui, pur non proclamandosi razzisti, si lamentano dei neri: producono troppa spazzatura, e insinuano che “buttano i cibi senza averli consumati perché non li pagano.”

Il presidente Filippo Curia, ex sindaco di estrema destra e ora consigliere d’opposizione, discetta sul concetto di buca nella strada che dovrebbe essere tale sia per maggioranza che opposizione. Tiene a precisare che al circolo non si gioca solo a carte e mostra l’annuncio della presentazione di un libro di haiku del professore Filippo Minacapilli.

È sera, tornando a casa sotto la pioggia, ripensiamo alle parole del tabaccaio Scalmato: “Chiunque sia stato sindaco, pur avendo ben operato, ha lasciato l’incarico senza amici e perseguitato da qualche lettera anonima.”COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA