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**Energia: Crotti (Confagricoltura), ‘torniamo al mais italiano, 5 anni per l’indipendenza’**

Di Redazione |

Milano, 31 ago. Bollette decuplicate, importazioni bloccate dalla guerra e speculazioni sui prezzi delle materie prime. Il settore agricolo è tra i comparti che maggiormente risentono degli effetti economici derivanti dalle tensioni internazionali; se non si prenderanno provvedimenti a breve, molte imprese rischieranno di chiudere i battenti entro la fine dell’anno. Per questo gli imprenditori stanno lavorando a un piano che permetta loro di tornare a coltivare in proprio il mais. Un elemento che, tra il blocco delle navi ucraine e l’aumento delle quotazioni sui mercati alternativi, sta diventando un vero e proprio incubo. Al momento, spiega all’Adnkronos il presidente di Confagricoltura Lombardia, Riccardo Crotti, “l’autoproduzione copre circa il 50% del fabbisogno delle aziende e l’altro 50% dobbiamo comprarlo all’estero. Con tutte le conseguenze del caso”. Ma come si è arrivati a questa situazione?

La risposta, a livello teorico, è un mix tra ciò che è accaduto con le quote-latte e con il reddito di cittadinanza: “A livello europeo, c’è stata la Pac a portarci a decidere di non coltivare più il mais -dice Crotti-. Nel senso che la normativa prevedeva contributi economici a fronte di una limitazione della quantità di coltivazioni per ciascun Paese”. E poi, “dato che a parità di prezzo, negli altri Paesi il costo del lavoro era nettamente inferiore, si è creato il paradosso che conveniva di più lasciare i nostri terreni incolti e acquistare il mais all’estero”.

Certo, nessuno avrebbe mai potuto prevedere che in Europa sarebbe arrivata una guerra a scombussolare gli equilibri economici: “Il prezzo del mais è passato dai 18-20 euro al quintale di un anno e mezzo fa a toccare i 44 euro al quintale; di conseguenza i nostri allevatori hanno iniziato a non comprare più mais e i nostri imprenditori hanno cominciato a non coltivarlo più, tanto che da un milione di ettari dedicati al mais siamo scesi a 600mila ettari”. Del resto, rispetto a molti altri Paesi, inclusa la stessa Francia, abbiamo dei costi di produzione, vale a dire materie prime, manodopera, energia e burocrazia, che incidono talmente tanto da metterci fuori mercato”. E allora “se vogliamo tornare a livelli accettabili, dobbiamo ripensare a come impostare la nostra attività”.

In sostanza, “dobbiamo innanzitutto insistere con la Comunità europea affinché ci dia la possibilità di modificare i criteri della Pac; l’auspicio è che i contributi dedicati all’agricoltura tornino a livelli accettabili, visto che malgrado il ruolo e l’importanza dell’agricoltura a livello europeo, i contributi che all’inizio erano pari all’80% del bilancio Ue, sono stati via via diminuiti fino a scendere al 30%. E poi bisognerebbe fare una riflessione ampia, che comprenda tutto ciò a cui finora abbiamo detto ‘no’, e cioè dalle estrazioni di gas nell’Adriatico, visto che già vengono fatte tranquillamente in Croazia, al ritorno al nucleare, visto che ce ne sono già in Francia e dunque non ha senso vietarle. Soprattutto vorremmo poter ottenere dal nuovo governo un’attenzione adeguata all’importanza strategica del nostro settore”. Anche perché “oltre ad essere un potente motore del made in Italy, un’agricoltura forte rappresenta essa stessa la garanzia di un Paese forte dal punto di vista economico, ambientale e sociale”. E dunque “noi siamo pronti; con soldi e interventi da parte dello Stato, in quattro-cinque anni le produzioni potrebbero tornare ad essere indipendenti, rendendo l’Italia un Paese autenticamente sovrano”.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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