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Grandi dimissioni? Ecco cosa sapere prima di cambiare vita
Roma, 12 ott. (Labitalia) – “Quello delle ‘Grandi dimissioni’ è un fenomeno emerso con grande evidenza con la fine della pandemia e la teorica ripresa del lavoro secondo i vecchi canoni. Molti dipendenti hanno iniziato a riesaminare, anche in modo radicale, il bilanciamento tra lavoro e vita privata, finendo in molti casi con il dimettersi alla ricerca di nuovi equilibri maggiormente orientati verso la qualità della seconda”. Ad affermarlo Carlo Majer ed Edgardo Ratti, co-managing Partner di Littler Italia, il più grande studio di diritto del lavoro in Europa e a livello globale. Sebbene in America nuovi studi stiano evidenziando una fascia di ‘pentiti’ – 1 su 4 – che oggi tornerebbe sui propri passi, il fenomeno non sembra fermarsi. Ma come capire se lasciare il lavoro è la decisione giusta? Cosa ci aspetta dopo, una nuova azienda o una carriera da autonomi? “Mettersi in proprio non è una scelta adatta a tutti”, chiarisce Nicola Palmieri, Youtube creator e imprenditore digitale su temi tech e formazione, che condivide consigli ed esperienze con la sua community di 2.5 milioni di follower. ”Se da una parte puoi godere di grande autonomia decisionale ed economica, dall’altra dovrai affrontare un percorso in solitaria”, avverte. In un periodo di burnout e scarsa motivazione, individuare ciò che ci appassiona può essere un esercizio non semplice. Basti pensare alle proporzioni che sta assumendo il ‘quiet quitting’ soprattutto nella Generazione Z. Parliamo dell’ultima tendenza a fare il minimo indispensabile al lavoro, fuori dalle logiche di sacrificio e straordinari. In America riguarderebbe la metà dei dipendenti e in Europa la situazione non è migliore. Sarebbero a malapena il 14% i lavoratori che oggi si sentono davvero coinvolti nella propria attività, secondo un report di Gallup. Capire, poi, quali delle nostre passioni siano realmente monetizzabili sarà uno step successivo fondamentale, se vogliamo davvero cambiare vita. “Dobbiamo prepararci a smontare e successivamente tentare di migliorare le idee che abbiamo raccolto, per creare qualcosa di unico e mirato su un pubblico specifico. Un percorso che richiede studio, tempo, metodo e la conoscenza di strumenti digitali”, spiega Palmieri, che, con 20 anni di lavoro autonomo alle spalle nel mondo digitale, condivide nei suoi video e webinar problemi e soluzioni testati sulla propria pelle, raccogliendo le esperienze della propria community. “Per capire se un’idea vale il rischio di lasciare il lavoro, dobbiamo testarla sui primi clienti con un Mvp (Minimum Viable Product), ossia un prototipo di base per ottenere i feedback iniziali, in grado di guidarci nell’affinamento del progetto. Con questa tecnica, ad esempio, abbiamo aiutato uno dei membri della mia community a capire che il suo prodotto non aveva un target specifico, ma anche che si prefiggeva di dare tutto subito, creando perplessità e paura nel pubblico. La definizione del Mvp gli ha permesso di ricreare una struttura base del suo progetto, per fare i primi passi e coinvolgere i clienti in un percorso di crescita”, dice. La strada del lavoro autonomo, insomma, è stimolante, ma piena di sfide: dovremo poi creare e valorizzare il nostro personal brand, individuare i giusti canali in cui promuoverci, imparare tecniche di vendita, accettare i fallimenti. E così per molti l’impiego da dipendente resta l’alternativa più adeguata, senza rinunciare a quel cambio di equilibrio che si fa sempre più urgente e irreversibile. Un aspetto su cui si giocherà la competitività del mercato del lavoro nei prossimi anni. “Le aziende faticano sempre di più a trattenere i talenti presenti ed a trovare professionisti da assumere. A tutti è chiarissimo che la chiave di volta sta nel disegnare nuovi modelli di organizzazione del lavoro. Partendo da nuovi equilibri sul fronte organizzativo, a processi di recruitment in cui il welfare ha un ruolo nodale a politiche di fidelizzazione delle risorse migliori, il tutto con l’intento di creare un clima aziendale sempre più inclusivo e trasparente, oltre che fluido e capace di dare spazio a molte più istanze di quanto non sia mai successo nella storia del lavoro”, spiegano Majer e Ratti di Littler Italia. In molti casi, le strategie vincenti arrivano dall’industria digitale, dove i profili più qualificati scarseggiano e la ricerca di talenti è caratterizzata da una maggiore competizione. “Work life balance e realizzazione personale sono i nuovi trend della nostra epoca, ma non devono passare necessariamente da scelte drastiche e impulsive”, dichiara Lidia Biondi, Hr Manager della digital company webidoo spa. “Il digitale e un approccio moderno nella gestione Hr, come è quello che portiamo avanti in webidoo, fin dalla sua nascita, sono i fattori chiave per un ambiente di lavoro più sostenibile e produttivo: noi cerchiamo di mantenere un giusto equilibrio tra smart working, del quale godono tutti per il 60% del loro tempo e la presenza in ufficio che, soprattutto per alcune figure e per i neo assunti, è ancora necessaria per favorire team working, trasmissione del know how e della cultura aziendale. Svolgere un lavoro gratificante, con la giusta retribuzione, i giusti ritmi e una buona gestione di tempo e spazi è per tutti la chiave del benessere e del successo perché, se da una parte ci sono le aspirazioni dei dipendenti, dall’altra c’è la necessità dell’azienda di costruire un team motivato che cresca insieme all’impresa, garantendone stabilità e continuità”, sottolinea. Attrarre i giusti profili e valorizzarli per ridurre il turnover è più che mai urgente oggi, in un contesto profondamente mutato e in continua evoluzione, mentre si affermano paradigmi inediti e la necessità di nuove skill in ogni settore. “Più che parlare di ‘grandi dimissioni’, noi osserviamo il fenomeno di un grande numero di professionisti che, a tutti i livelli dell’organigramma, hanno cambiato azienda o hanno interesse a farlo nel breve”, commenta Luigi Castellani, presidente di Suitex International, società italiana leader nel recruiting nel mondo moda e lusso. “Questo è maggiormente evidente nel fashion, per la sua natura dinamica e competitiva. Sicuramente il burnout ha messo al primo posto la ricerca del work life balance, evidenziando la fatica crescente di stare in ambienti di lavoro poco soddisfacenti in termini di relazioni e rapporti o con retribuzioni che non bastano più a compensare i livelli di stress. Anche perché il mondo moda si è completamente trasformato in questo triennio, ruotando su nuovi modelli organizzativi nel funzionamento dell’azienda e nuove competenze. Dal nostro punto di osservazione, è evidentissimo: la supply chain è diventata strategica, così come l’omnicanalità e l’e-commerce”, conclude.