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Imprese: Assolombarda, ‘solo 3 pmi su 5 hanno competenze manageriali adeguate’

Di Redazione |

Milano, 31 mag. Supportare la crescita della cultura manageriale nelle piccole e medie imprese di Milano, Monza e Brianza, Pavia e Lodi per tracciare un percorso teso a favorire la loro competitività a livello globale. È l’obiettivo della ricerca ‘Competenze manageriali per la resilienza delle pmi’, uno studio promosso da Assolombarda, Aldai-Federmanager e Fondirigenti e realizzato da École (Enti confindustriali lombardi per l’education) nell’ottica di individuare i fabbisogni formativi del tessuto produttivo, con particolare riferimento alle competenze percepite come essenziali per la crescita del proprio business e con un focus sulle figure professionali di più difficile reperimento nel mercato del lavoro.

Il lungo lavoro di analisi che poggia le sue basi su una alleanza tra associazioni, ha dato vita a una vera e propria guida capace di delineare nuovi percorsi di analisi delle esigenze formative e sviluppo delle risorse umane all’interno delle aziende di minori dimensioni. La ricerca ha riservato una particolare attenzione alle abilità ritenute come cruciali per far fronte alla transizione digitale ed ecologica, ma anche a quelle utili per cogliere la sfida della sostenibilità in tutte le sue dimensioni. Per offrire uno spaccato dello status quo è stata effettuata una vera e propria indagine sul campo rivolta alle pmi del territorio, attraverso interviste a imprenditori e responsabili delle risorse umane e della formazione.

I risultati confermano che il digitale e la sostenibilità sono, oggi, i due grandi asset strategici che le imprese sono chiamate a sviluppare per favorire la loro competitività. Ad essi se ne aggiunge un terzo: la managerialità.

C’è anche una ‘terza transizione’, che ha a che fare con le competenze, che è necessaria per gestire e accompagnare le due citate trasformazioni in atto; in quest’ottica, le abilità manageriali sono considerate una leva strategica per accompagnare la ‘twin transition’: gestione del cambiamento, leadership, lavoro di squadra e coinvolgimento dei collaboratori costituiscono gli strumenti per radicare nell’organizzazione le novità legate all’introduzione delle variabili ‘blue & green’.

“Investire nello sviluppo delle competenze manageriali è, sempre di più, un fattore strategico per la competitività, in uno scenario economico caratterizzato da crescente complessità -spiega la vicepresidente di Assolombarda con delega a Università, Ricerca e Capitale umano, Monica Poggio-. E lo è a maggior ragione per le pmi, realtà in cui si riscontrano, ancora oggi, livelli di managerialità non adeguati: la loro capacità di essere resilienti ai cambiamenti transita anche attraverso la crescita delle competenze degli imprenditori e delle figure direttive”.

Occorrono, dunque, “programmi di formazione e di sviluppo manageriale, costruiti sulle esigenze e sui fabbisogni specifici delle pmi, in grado di sostenere il business e di innescare processi che apportino valore a tutta l’organizzazione aziendale. La formazione più ‘tradizionale’, in tal senso, deve essere affiancata da modelli innovativi in una logica di supporto consulenziale al management dell’impresa”.

Nonostante ciò, stando all’esito dell’indagine, le pmi scontano una serie di criticità legate ad alcune caratteristiche strutturali: la limitata managerializzazione, la ridotta disponibilità di risorse finanziarie, le difficoltà ad attrarre talenti. Elementi che rendono particolarmente complesso il pur necessario cambiamento. Con riferimento al processo di digitalizzazione, per esempio, solo il 9% delle pmi presenta, infatti, un livello adeguato di competenze digitali.

Tra gli ostacoli percepiti, accanto ai costi relativi all’acquisizione di nuove tecnologie, emerge la difficoltà a programmare la formazione dei dipendenti, oltre che una minore propensione all’innovazione: “Le imprese, soprattutto le pmi, sono oggi chiamate ad accogliere l’improcrastinabile sfida delle competenze -sottolinea il presidente della Piccola industria di Assolombarda, Paolo Gerardini-. La ricerca dimostra, d’altra parte, che le organizzazioni, per funzionare e competere meglio, devono diventare sempre meno centralizzate. Hanno, inoltre, più bisogno di persone preparate e in grado di utilizzare strumenti innovativi e di far propri nuovi metodi capaci di supportare le proprie decisioni”.

In quest’ottica, “la managerializzazione rappresenta un orizzonte necessario: essa deve partire dall’imprenditore con azioni finalizzate a rafforzare le competenze in termini di strategia e di direzione per promuovere un approccio resiliente nel contesto della difficile congiuntura economica che stiamo vivendo. Si tratta di un percorso che, come Associazione, abbiamo intrapreso grazie all’impegno del nostro gruppo di lavoro dedicato. L’obiettivo è quello di sensibilizzare le pmi sulla necessità di irrobustire la governance, anche per porre le basi per il passaggio generazionale, favorendo la continuità aziendale”.

Il questionario che ha animato l’attività di indagine ha messo in chiaro che le competenze manageriali costituiscono l’aspetto più rilevante tra gli intervistati. D’altra parte, quelle attualmente possedute sono ritenute dalle pmi solo in parte adeguate ad affrontare le sfide poste dal contesto competitivo (3,5 su una scala 1-5): la visione strategica, la gestione e lo sviluppo dei collaboratori, la big data analysis, la cybersecurity: “Tematiche che -avverte il presidente di Fondirigenti, Marco Bodini- sono già oggi tra quelle più richieste dalle imprese e che sono destinate ad esserlo sempre di più in futuro, rafforzando il ruolo della formazione come fattore abilitante delle grandi trasformazioni del tessuto produttivo”.

Tra le note positive, sono emerse alcune buone pratiche ricorrenti. In primo luogo, l’inserimento dei nuovi assunti ‘per blocchi’, ovvero la costituzione di gruppi generazionali per semplificare il monitoraggio della loro crescita nel tempo; la pianificazione di attività di on boarding e training on the job per verificare l’efficacia dell’affiancamento; le sessioni formative promosse da colleghi esperti. In alcune realtà si sta, inoltre, affermando un modello virtuoso di analisi dei fabbisogni di formazione, che prende le mosse da una raccolta bottom up e viene poi riportata all’area risorse umane e al vertice aziendale per un raccordo con le strategie complessive dell’impresa. Dalla ricerca emerge la necessità di consolidare tale modello, pur nella consapevolezza che nella maggior parte delle pmi la funzione risorse umane presenta un assetto ‘minimale’.

Accanto all’indagine sulle competenze manageriali, tramite il questionario è stato svolto anche un focus sulle figure professionali di più difficile reperimento sul mercato del lavoro.

Per l’area tecnico-produttiva, le maggiori criticità sono legate all’individuazione di profili tradizionali (tecnici di produzione, operai specializzati, manutentori, installatori, tornitori, saldatori, operatori di macchine cnc) ma anche di professionisti specializzati (ingegneri, progettisti e disegnatori meccanici, ingegneri e progettisti elettrici) e manager (responsabili logistica, acquisti e supply-chain, manager di produzione e capi stabilimento, responsabili di R&S e di programmazione della produzione).

Con riferimento all’area commerciale, si fa più fatica a trovare professionalità capaci di fare sintesi tra aspetti ‘tecnici’ e ‘commerciali’ (‘venditori tecnici’, esperti di assistenza tecnico-commerciale) oltre che area manager, product e marketing manager, business development manager. Per l’area informatico-digitale, infine, la carenza riguarda esperti software, sistemisti, programmatori, web designer ma anche esperti di automazione, additive manufacturing, IoT, digital twin, cyber security, data science & analysis, machine learning.

Per far fronte alle proprie esigenze, le pmi, stando ai risultati della ricerca, hanno avviato un percorso volto al radicamento sul territorio costruendo nel tempo relazioni con le istituzioni educative, al fine di ridurre il mismatch tra domanda e offerta di lavoro e competenze. Quasi tutte le aziende intervistate possono vantare solidi e continuativi contatti con scuole professionali, istituti tecnici e Its, per intercettare profili operativi e di specializzazione tecnica, e con le università, per individuare professionalità con studi accademici.

“Essere manager nel contesto attuale in rapida evoluzione significa interpretare il ruolo con visione, sapendo cogliere sfide ed opportunità come momenti di crescita -conclude Manuela Biti, presidente di Aldai-Federmanager-. Stiamo vivendo una sfida, la sfida di una rapidissima innovazione tecnologica che sta mettendo in discussione i modelli produttivi e l’organizzazione stessa del lavoro, il modo di fare impresa e lo stesso ruolo del manager. La rivoluzione digitale influisce sull’ occupazione, creando nuove professioni da una parte, snellendo processi dall’altra e non è possibile prevedere con certezza quale sarà il saldo netto. Il ruolo del manager stesso poi oggi è già cambiato: sono sempre più richieste capacità ‘soft’ per stare al passo con la marcia trionfale di scienza, tecnologia, sviluppo organizzativo: dalla resilienza, al complex problem solving alla visione strategica e di lungo termine, dalla capacità di fare squadra alla capacità di portare una nuova cultura. Perché di questo abbiamo bisogno: di un vero e proprio cambiamento culturale”.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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