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Investire in ETF, tutto quello da sapere. Pro, contro e perché stanno sbranando i fondi d’investimento

Di Redazione |

Quando sono nati 45 anni fa esatti nell’agosto 1976 i primi fondi passivi come il First Investment Index furono considerati un sicuro fiasco, oggi quello stesso fondo è diventato il primo fondo al mondo e ha preso il nome di Vanguard S&P 500 Index.

In Italia il mercato degli ETF è in crescita ma meno poderosa rispetto a Paesi come Gran Bretagna o Stati Uniti poiché la lobby dei collocatori di prodotti finanziari (banche e reti) preferisce spingere i fondi e far pagare agli italiani 10 volte di più.

L’idea di lanciare un fondo non “gestito” che replicava l’andamento dei mercati all’epoca veniva considerata qualcosa a metà fra provocazione e lesa maestà. La maggior parte dei professionisti degli investimenti riteneva che i fondi indicizzati fossero uno stupido errore. Quasi cinquant’anni di storia hanno dimostrato il contrario.

Un fondo indicizzato ovvero oggi considerato sinonimo di ETF è un fondo comune di investimento a basso costo e a bassa manutenzione progettato per seguire le fluttuazioni dei prezzi di un indice del mercato azionario, come l’S&P 500.

Gli investitori con poco capitale apprezzano sempre più gli ETF che di fatto sono fondi d’investimento con commissioni di gestione sempre più ultra low cost.

A inizio 2021 il mercato europeo ha superato il trilione di euro di masse gestite in ETF grazie all’aumento dei corsi azionari e agli acquisti netti di questi strumenti sempre più preferiti dagli investitori rispetto ai fondi d’investimento cosiddetti attivi o sicav. Un altro anno d’oro, dunque, con flussi superiori a quelli dei fondi.

Anche nel 2020 la marcia degli ETF è proseguita implacabile e a fine anno su ETFplus, il mercato di Borsa Italiana dove vengono negoziati ETF, ETC/ETN, si contavano ben 1.334 strumenti quotati.

Investire in ETF vuol dire investire su prodotti finanziari tra i più innovativi e di successo degli ultimi decenni e per comprenderlo basti dire che se a inizio millennio le masse gestite mondiali con ETF ammontavano a 100 miliardi di euro nel 2019 abbiamo superato il muro dei 5000 miliardi di euro.

Una crescita che non mostra segnali di stanchezza tanto che il leader di mercato Blackrock con il suo marchio di fondi indicizzati iShares prevede che il capitale gestito in ETF raddoppierà quasi in cinque anni.

Gli investitori scelgono di comprare ETF perché particolarmente attratti dalle commissioni basse e dal trading semplice e senza complicazioni, come mostra un sondaggio di JP Morgan Asset Management. Gli ETF su noti indici azionari sono spesso offerti con commissioni annue dello 0,1 per cento.

I prodotti “attivi” (spesso fintamente), vale a dire i prodotti controllati dal gestore del fondo e venduti dalle banche e dalle reti di vendita attraverso consulenti abilitati all’offerta fuori sede ovvero private banker e altre definizioni altisonanti, di solito costano almeno dieci volte di più degli ETF. Perché? Per remunerare il canale distributivo: la società di gestione del fondo “ringrazia” così i collocatori dei suoi prodotti ovvero banche e reti di vendita e i loro consulenti.

Gli ETF sono fondi indicizzati che possono essere acquistati o venduti in tempo reale, come un’azione.

I fondi di investimento (ad eccezioni di quelli che si dichiarano indicizzati ovvero index fund ma che sono di fatto quasi spariti) sono presentati come “attivi” ovvero gestiti, adeguati e ottimizzati da un gestore di fondi o per meglio dire di un comitato d’investimenti che può selezionare in modo totalmente arbitrario (per questo si dice “attivo”) i titoli da detenere sul fondo e dove il gestore si presuppone faccia un costante lavoro di ricerca, analisi e selezione per costruire il portafoglio e controllarlo quotidianamente.

Negli ETF il portafoglio varia solo quando l’indice cambia o si ricompone. Dal punto di vista teorico la “narrativa” dei fondi a gestione attiva sembra convincente, nella realtà si comportano molto peggio degli ETF nella stragrande parte dei casi per diverse ragioni. Tra queste rientra l’impatto dei costi e il fatto che poi sostanzialmente molti gestori, cosiddetti attivi, o prendono scelte che si rivelano peggiori di quelli passivi o fingono di essere attivi ma poi di fatto replicano gli indici, ma con costi solo maggiorati per consentire al “circo” di spartirsi commissioni robuste fra un’infinità di soggetti.

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