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Cardiologo Schwartz: “Sindrome del QT lungo curabile anche in base a singola mutazione genetica”

Di Redazione |

Roma, 28 nov. (Adnkronos Salute) – “La sindrome del QT lungo è una malattia genetica non comune, ma nemmeno non rara, che è presente in una persona ogni 2mila nati vivi ed è la prima causa di morte improvvisa sotto i 20 anni”, in condizioni di stress. Se scoperta “nel corso di una visita sportiva, si indirizza il soggetto presso centri d’eccellenza altamente specializzati per una diagnosi certa. E soprattutto si può curare: esistono trattamenti indicati anche in base alla singola mutazione genetica”. Così Peter J. Schwartz, direttore del Centro aritmie cardiache di origine genetica dell’Irccs Istituto auxologico italiano, Milano.

Le caratteristiche fondamentali di questa condizione sono “l’allungamento dell’intervallo QT sul tracciato dell’elettrocardiogramma – continua il cardiologo che ha dedicato la sua carriera allo studio della sindrome del QT lungo – e la possibilità di sincopi, svenimenti e morte improvvisa in condizioni di stress fisico, emotivo, esercizio, paure e grandi emozioni. La sua importanza sta nel fatto che, se non curata, ha una mortalità molto alta ma, se curata, ha una mortalità bassissima perché disponiamo di terapie estremamente efficaci”.

In Italia tutti i ragazzini devono avere un certificato di idoneità per praticare sport. Proprio la visita medico-sportiva per l’attività agonistica rappresenta un’occasione importantissima per fare diagnosi precoce e diagnosi precoce vuole dire prevenzione: “i medici dello sport hanno l’opportunità di identificare la malattia. Questo è estremamente importante perché si possono proteggere questi ragazzi da eventuali aritmie”, spiega Schwartz sottolineando che il medico sportivo, quando sospetta la malattia, ”deve indirizzare l’atleta presso centri specializzati in cui gli esperti, grazie ad approfondite analisi diagnostiche e genetiche, possono formulare con certezza la diagnosi e impostare la terapia corretta”. E’ importante fare una diagnosi corretta perché, in assenza di questa, “si espone il paziente a rischio di morte improvvisa – ribadisce l’esperto -. Se, per contro, si fa una diagnosi sbagliata di sindrome di QT lungo, si può rovinare la vita di un ragazzo, impedendogli di fare sport”.

Quanto al controllo della malattia “la terapia con farmaci beta bloccanti – aggiunge Schwartz – è estremamente efficace nel 95-97% dei casi. Nei pochi casi in cui questa terapia non è sufficiente esiste un intervento di denervazione cardiaca simpatica, che si effettua in 40 minuti attraverso tre forellini, che nel nostro centro facciamo dal 1973. Quando tutte le terapie tradizionali non funzionano, si ricorre al defibrillatore impiantabile”.

C’è una novità importante nella diagnosi. “Da circa 10 anni – racconta il cardiologo – abbiamo iniziato ad accorgerci che pazienti in cui avevamo fatto diagnosi di QT lungo avevano un elettrocardiogramma normale”. Dopo aver escluso un errore di diagnosi, notando che tutti questi pazienti non avevano mai avuto sintomi, familiarità né mutazione genetica, ma avevano interrotto l’attività sportiva, “è nato il sospetto che fosse il training fisico molto intenso, come si usa adesso, a creare questo problema. Alcuni di questi ragazzi hanno ripreso l’attività sportiva – continua – e l’alterazione elettrocardiografica infatti si è ripresentata”. In altre parole, “l’attività sportiva intensa – precisa Schwartz – può alterare l’elettrocardiogramma in un modo indistinguibile da quello della malattia. L’unico modo per capirlo è sospendere l’attività fisica per 3-4 mesi” per poi rivalutare il paziente. “In questo modo si evita di etichettare come malato un ragazzo che non ha la sindrome o altri problemi”.

L’analisi genetica è fondamentale. “Nell’85-90% delle persone malate troviamo la mutazione che causa la malattia – spiega il cardiologo . La risposta arriva entro 8 settimane e, se si trova la mutazione, nel giro di 15 giorni è possibile controllare l’intera famiglia. Questo è fondamentale perché anche la terapia e il modo in cui curiamo i pazienti cambia in base al gene, dei 3, che sono coinvolti. Alcuni – continua – sono più collegati alla morte improvvisa durante sforzo, altri più a rischio al risveglio con rumori improvvisi: conoscendo quale gene è coinvolto, possiamo modulare la terapia in modo estremamente personalizzato”.

Una cosa da tenere presente è che “2/3 delle morti improvvise da QT lungo avvengono come primo episodio – riflette Schwartz – quindi non c’è spazio per l’errore. Sappiamo da molti anni, inoltre, che questa sindrome contribuisce a circa il 10-12% dei casi di morte in culla. Basterebbe “fare un elettrocardiogramma a tutti i bambini di 2-3 settimane per fare una diagnosi con assoluta certezza. Il ministro Veronesi- ricorda – era perfettamente d’accordo con la mia proposta ma poi, come capita spesso in Italia, non si è andato avanti. Ci sono però molti ospedali in cui si fa”.

L’attività sportiva però non è bandita, una volta posta la diagnosi corretta. “Non è possibile, anche per legge, fare sport agonistico – sottolinea l’esperto – ma l’attività sportiva è estremamente importante, anche dal punto di vista psicologico, per un ragazzo, quindi, nel limite del possibile, va fatta attività motoria con una certa attenzione. In base al gene coinvolto i rischi durante l’attività sportiva sono minori o maggiori. Gli sport di gruppo e di squadra – aggiunge – sono più pericolosi perché c’è maggiore pressione da parte del gruppo, mentre quelli individuali sono più adatti perché uno può regolarsi meglio e giocare senza fare sforzi eccessivi”, conclude Schwartz.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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