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Falcone, 30 anni fa strage Capaci. Mattarella: “Non si rassegnò mai a indifferenza”

Di Redazione |

Un lungo applauso ha accolto il capo dello Stato, Sergio Mattarella, al Foro italico di Palermo, dove si commemorano le stragi di Capaci e via D’Amelio, in cui persero la vita Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo, Paolo Borsellino e gli agenti della scorta. Giovanni Falcone “non si abbandonò mai alla rassegnazione o all’indifferenza ma si fece guidare senza timore dalla ‘visione’ che la sua Sicilia e l’intero nostro Paese si sarebbero liberati dalla proterva presenza della criminalità mafiosa. Questa ‘visione’ gli conferiva la determinazione per perseguire con decisione le forme subdole e spietate attraverso le quali si manifesta l’illegalità mafiosa”, ha detto Mattarella, parlando a Palermo. “Agiva non in spregio del pericolo o alla ricerca di forme ostentate di eroismo bensì nella consapevolezza che l’unico percorso possibile fosse quello che offre il tenace perseguimento della legalità, attraverso cui si realizza il riscatto morale della società civile – ha aggiunto il capo dello Stato – La fermezza del suo operato nasceva dalla radicata convinzione che non vi fossero alternative al rispetto della legge, a qualunque costo, anche a quello della vita. Con la consapevolezza che in gioco fosse la dignità delle funzioni rivestite e la propria dignità. Coltivava il coraggio contro la viltà, frutto della paura e della fragilità di fronte all’arroganza della mafia”, ha detto Mattarella, parlando a Palermo.

Sono passati 30 anni da quel 23 maggio 1992 quando a Capaci, sulla strada del ritorno da Roma, il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo, e gli agenti di scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro vengono uccisi dalla mafia in un attentato che segnerà per sempre la storia del Paese. Alle 17:58, al passaggio con la scorta per Capaci, 1000 kg di tritolo sistemati all’interno di fustini in un cunicolo di drenaggio sotto l’autostrada esplodono investendo in pieno il corteo di auto e uccidendo sul colpo gli agenti Montinaro, Schifani e Dicillo. Un’ora e sette minuti dopo l’attentato, Giovanni Falcone muore dopo alcuni disperati tentativi di rianimazione. Francesca Morvillo, sua moglie, morirà in serata.

“Stiamo affrontando una stagione difficile, dolorosa, segnata prima dalla pandemia e poi dalla guerra nel cuore dell’Europa. Raccogliere il testimone della ‘visione’ di Falcone significa affrontare con la stessa lucidità le prove dell’oggi, perché a prevalere sia –ovunque, in ogni dimensione- la causa della giustizia; al servizio della libertà e della democrazia”. Lo ha affermato il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, parlando a Palermo in occasione della commemorazione del trentesimo anniversario dell’attentato a Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e i componenti della scorta.

“Da queste drammatiche esperienze si dovrebbe trarre un importante insegnamento per il futuro: evitare di adottare le misure necessarie solo quando si presentano condizioni di emergenza. È compito delle istituzioni -di tutte le istituzioni- prevedere e agire per tempo, senza dover attendere il verificarsi di eventi drammatici per essere costretti a intervenire. È questa consapevolezza che dovrebbe guidare costantemente l’azione delle Istituzioni per rendere onore alla memoria dei servitori dello Stato che hanno pagato con la vita la tutela dei valori su cui si fonda la nostra Repubblica”, ha detto ancora Mattarella.

Draghi

“A trent’anni dalla Strage di Capaci, il Governo ricorda con profonda commozione Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro. La loro memoria è forte, viva, universale”. Così il premier Mario Draghi.

“Grazie al coraggio, alla professionalità, alla determinazione di Falcone, l’Italia è diventato un Paese più libero e più giusto – ricorda il presidente del Consiglio – . Falcone e i suoi colleghi del pool antimafia di Palermo non hanno soltanto inferto colpi decisivi alla mafia. Il loro eroismo ha radicato i valori dell’antimafia nella società, nelle nuove generazioni, nelle istituzioni repubblicane”.

Fico

“Questo è un giorno che ha cambiato la storia del nostro Paese, che segna per la nostra Italia un cambio di passo e un cambio di rotta, è un giorno dove c’è una sofferenza collettiva ma anche personale e credo che le vite di ognuno di noi questo giorno siano cambiate. Quindi oggi si rinnova l’impegno di quel cambiamento che dobbiamo trasferire alle nuove generazioni”. Così il presidente della Camera Roberto Fico arrivando al Foro Italico di Palermo per le commemorazioni dei 30 anni dalla strage di Capaci. “Bisogna insistere sempre. Noi dobbiamo arrivare a tutta la verità perché verità significa giustizia e giustizia significa consapevolezza”, ha aggiunto.

Di Maio

“La grande intuizione di Falcone è stata costruire una rete a livello internazionale per contrastare le organizzazioni criminali”. Così il ministro degli Esteri Luigi Di Maio parlando dal palco del Foro italico di Palermo. Di Maio ha ricordato la Convenzione di Palermo del 2000 sottolineando come “grazie a quella convenzione, al lavoro delle forze di polizia e della magistratura, l’Italia è riconosciuta all’unanimità a livello internazionale come il Paese guida nel contrasto alle organizzazioni criminali e alla corruzione”.

Lamorgese

“Sconfiggere la mafia è possibile. E’ difficile ribellarsi ma bisogna riuscire a sconfiggere quello che è una mentalità soprattutto una cultura che deve essere davvero coltivata”. Lo ha detto la ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese nel suo intervento.

“Bisogna essere molto vigili sempre perché le mafie hanno la possibilità e la voglia di adattarsi quindi bisogna capire quali sono le sembianze che assumono anche nella società civile anche nelle istituzioni e su questo dobbiamo essere molto attenti”, ha sottolineato.

Vedova Schifani

Rosaria Costa, vedova dell’agente Vito Schifani chiede collaborazione per conoscere la verità, “anche se, a distanza di 30 anni, non credo ci sia una voglia di conoscere la verità perché ci sono coinvolte troppe persone che facevano parte anche dello Stato”. Le sue parole ai funerali sono diventate il simbolo di quei giorni e la prima forte reazione all’ingiustizia. “Io vi perdono, però dovete mettervi in ginocchio”, disse ai mafiosi e agli organizzatori dell’attentato. Oggi rinnova così il suo appello: “Direi di comportarsi degnamente, anche alle forze dell’ordine che indossano la divisa, di non sporcarla come hanno fatto in passato quelli che hanno tradito i colleghi, che sono passati dall’altra parte della barricata. Il mio appello è: cercate di avere una coscienza perché poi andrete a vedervela con Dio”.

Sulla scelta di non partecipare alle commemorazioni ufficiali a Palermo, Rosaria Costa dice: “Io preferisco andare a parlare ai ragazzi nelle scuole, mi piace stare coi giovani. Non è che non credo nelle manifestazioni ufficiali, ma non vado perché non mi sento a mio agio dove ci sono tantissime persone solo per le commemorazioni e poi finisce tutto. Io preferisco il 23 maggio andarmene in chiesa e starmene con Dio. Ciò non toglie che queste persone facciano bene, anche mio figlio è andato a Palermo per la commemorazione. Quando ci fu la camera ardente a palazzo di Giustizia, ricordo tantissime persone, tantissimi ragazzi, anche a quella delle scorte che poi morirono in via d’Amelio. E questo mi è bastato per capire che la folla è solo confusione. La folla per me è terribile, è un fardello che non vorrei portare sempre. Io voglio starmene da sola, vado in Chiesa, sto in famiglia. Non contesto nulla ma non voglio far parte di questa cosa”.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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