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I malati reumatologici chiedono un centro di cura vicino e facilmente contattabile.

Di Redazione |

In Regione Lombardia in aiuto le Case della comunità ma manca personale medico

Milano, 26 Ottobre 2021 – “Come tutte le patologie croniche, le malattie reumatologiche saranno al centro dell’attenzione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e dei progetti legati ad esso come le Case della comunità che speriamo, anche in regione Lombardia, di portare a compimento. Sicuramente, quello che vogliono i malati è avere un punto di accesso semplice, vicino, affidabile e facilmente contattabile e credo che la Casa della comunità, per come è stata concepita, vada in questa direzione. Ovviamente per avere tutto questo c’è bisogno di personale sanitario. Stiamo facendo una grande battaglia anche in Parlamento e nella nostra Commissione perché i fondi del PNRR vengano destinati anche per incrementare il personale sanitario dedicato alla gestione delle Case della comunità. Sarà inoltre necessario una governance che sappia fare uno scatto culturale e capisca questo nuovo modello di attenzione al paziente cronico e non. Questa forma di nuova cultura organizzativa sarà davvero la vera sfida”.

Per la Reumatologia, Regione Lombardia rappresenta un’eccellenza a livello nazionale in termini di centri di riferimento. Le associazioni di pazienti, i clinici e la medicina territoriale necessitano di una riorganizzazione dei percorsi assistenziali per questi malati, ovvero l’istituzione di una rete, ciò al fine di permettere, viste le sempre più opportunità terapeutiche, una rapida diagnosi e presa in carico, un migliore follow-up, prevenendo i danni causati dall’evolvere delle malattie reumatiche autoimmuni prima che esse portino il paziente a situazioni di invalidità.

“Abbiamo delle grandi aspettative sul funzionamento e l’implementazione delle Case della comunità per la presa in carico dei malati cronici, e anche per il paziente reumatologico potranno dare un servizio migliore di quello che non sia avvenuto fino ad oggi – ha spiegato Carlo Borghetti, Vicepresidente del Consiglio Regionale e Componente III Commissione Sanità e Politiche Sociali di Regione Lombardia -. Questo deve essere fatto in un servizio socio-sanitario che si trasforma, con il ritorno in grande stile dei distretti socio sanitari cioè di quella articolazione del servizio sanitario sul territorio che, tra l’implementazione delle cure primarie, il coordinamento delle case di comunità e il rilancio della riabilitazione, dovranno essere i veri propri luoghi della regia tra il territorio, la sanità territoriale e l’ospedale, che ci aspettiamo facciano ripartire la presa in carico del paziente cronico in maniera più efficiente ed efficace. Perché ciò avvenga c’è bisogno che davvero tutti facciano la loro parte: l’ospedale dovrà fornire collaborazione attraverso gli specialisti che potrebbero operare nelle case della comunità, e dovranno lavorare i medici di medicina generale, tutto questo al fine di rilanciare l’alleanza tra medici di famiglia, sanità territoriale e ospedale per la presa in carico del cronico”.

“Credo che nelle Case della Comunità ci possano andare anche i medici di famiglia, ma bisognerà considerare sia il problema del sistema digitale sia lo sviluppo della presa in carico della patologia cronica. Per quest’ultimo punto oggi abbiamo la possibilità in Regione di inserire il paziente in un piano individuale dove si decide cosa si debba fare” ha spiegato Fiorenzo Corti, Vice Segretario Nazionale FIMMG.

Anche grazie all’aiuto dei fondi che arriveranno dal PNRR, le Associazioni di malati auspicano la realizzazione di una rete efficace per curare anche patologie rare e complesse reumatologiche.

“Tutte le nostre patologie dovrebbero avere questa tipologia di assistenza, spero che questa cosa possa essere messa in pratica, è il nostro sogno da sempre. Vorremmo riuscire ad avere una riorganizzazione dei percorsi di cura per rete di patologia che riguardi il gran numero di centri di eccellenza disseminati su tutto il territorio regionale” ha auspicato Maria Grazia Pisu, Presidente ALOMAR ODV Associazione Lombarda Malati Reumatici. “Auspichiamo anche l’apertura di ambulatori qualificati su tutto il territorio lombardo che accoglierebbero pazienti in fase di buon controllo di malattia, ciò permetterebbe di evitare lunghe liste d’attesa nei centri più qualificati, che necessitano di assistere i pazienti in fase acuta. Poi i medici di base dovrebbero operare in stretta collaborazione con i vari centri per effettuare invii mirati in caso di sospette patologie reumatologiche. In questo modo potrà essere garantito a tutti i cittadini un accesso più equo e uniforme alle cure”.

“Tre cardini sui quali ci muoviamo da una ventina di anni orami sono diagnosi precoce, presa in carico e qualità di vita. L’ultimo anno e mezzo, contrassegnato dalla pandemia, ci ha visto molto provati e il medico di medicina generale è stato il nostro riferimento. Purtroppo viene poco coinvolto nelle nostre patologie e questa secondo me è una mancanza: ancora prima della rete bisognerebbe fare una condivisione di quello che vivono i pazienti quando ricevono la diagnosi di una patologia reumatologica, che ricordo che non sono pazienti in età avanzata ma sono spesso pazienti in età lavorativa e che hanno bisogno di un supporto anche dal punto di vista delle certificazioni: e allora perché non coinvolgerlo?” ha commentato Silvia Tonolo, Presidente ANMAR ODV Associazione Nazionale Malati Reumatici

Sul tema dibattuto della terza dose vaccinale per i pazienti reumatologici è intervenuto Luigi Sinigaglia, Past President della Società Italiana di Reumatologia (SIR).

“La terza dose rapida, precoce, a ridosso immediato dall’ultima vaccinazione credo che possa e debba essere fatta solo in determinate categorie di pazienti che assumono dei farmaci potenzialmente immunodepressori, mentre per quanto riguarda la dose booster, che deve essere fatta almeno sei mesi dopo l’ultimo richiamo vaccinale, la posizione della SIR è quella di invitare tutti i pazienti reumatologici a questa terza somministrazione. Credo quindi che la dose booster vada fatta e sia da incoraggiare in tutti i pazienti che assumano farmaci potenzialmente interferenti con il sistema immunitario almeno sei mesi dopo l’ultimo richiamo vaccinale”.

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