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L’urlo di Salvatore Borsellino: “I depistaggi da chi non vuole la verità”

Di Redazione |

Palermo, 17 lug. “La verità su via D’Amelio si saprà, purtroppo, solo quando tutti gli attori di questa scellerata storia saranno morti…”. Salvatore Borsellino, maglietta rossa e cappellino intonato, è seduto sotto l’albero piantato in via D’Amelio per tenere vivo il ricordo del fratello Paolo Borsellino e dei cinque agenti di scorta uccisi nella strage del 19 luglio 1992. Incontra dei bambini a cui racconta chi era il giudice ucciso dalla mafia. Ma parla anche di Rita Borsellino, la sorella. Poi, il viso si rabbuia, e parla del “depistaggio sulla strage”, anzi “dei depistaggi” e di chi “non vuole che venga fuori la verità su quanto accadde quella maledetta domenica”. “Tante volte si dice che lo Stato non può processare se stesso – dice in una intervista all’Adnkronos – E sono stati proprio pezzi deviati dello Stato che hanno intavolato la trattativa. E quella trattativa, con Paolo ancora in vita, non sarebbe mai potuta andare avanti. Paolo doveva morire per potere portare avanti quella scellerata trattativa e doveva anche sparire la sua agenda rossa”.

Per Salvatore Borsellino “il depistaggio comincia nel momento in cui un capitano dei carabinieri si allontana dalla macchina di Paolo con la sua borsa che poi viene rimessa nel sedile, sperando in un ritorno di fiamma dell’inferno che c’era in via D’Amelio. E sperando che andasse tutto perduto, compresa la borsa. Ma su questo non si è mai veramente indagato, perché se è vero che il capitano Arcangioli è stato assolto dal reato di avere sottratto l’agenda, a mio avviso si sarebbe dovuto indagare su che fine abbia fatto l’agenda di mio fratello e chi fine ha fatto prima che borsa venisse restituita alla moglie e alla figlia”.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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