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Lavoro, Andrea Cafà: “Corre veloce la contrattazione collettiva di qualità”

Di Redazione |

Roma, 28 ott. (Labitalia) – Corre veloce la contrattazione collettiva di qualità, secondo il ritmo impresso dalla forte bilateralità di Cifa e Confsal e come richiede l’autunnale avvio di ripartenza. Così i lavori del primo Forum #IlLavorocontinua, organizzato da Fonarcom con Cifa e Confsal e tenutosi oggi a Roma, si sono aperti parlando di contrattazione collettiva di qualità e nuovi lavori. Per Andrea Cafà, presidente di Cifa e di Fonarcom, va proseguito il lavoro d’innovazione contrattuale: “Oggi proponiamo di attualizzare il concetto di subordinazione rendendolo flessibile e adattabile ai nuovi contesti lavorativi e ai nuovi modi di lavorare, garantendo le tutele ma adeguandole alle nuove esigenze del mondo del lavoro”. Di fatto, la figura del lavoratore competente, responsabile, partecipe, non più legato per orario e luogo ai canoni della “subordinazione”, scardina la tradizionale concezione del lavoro retribuito sulla base, esclusiva, delle ore lavorate e punta a una nuova concezione che premia il raggiungimento degli obiettivi. “Al Cnel” ha detto Tiziano Treu, presidente dell’Istituto “stiamo seguendo queste novità, con particolare attenzione per quanto avviene a livello territoriale. Diciamo che siamo in fase di sperimentazione, soprattutto per quanto riguarda la regolamentazione dell’orario di lavoro”. Bruno Giordano, direttore dell’Inl, ha precisato che “nell’83% delle ispezioni il lavoro risulta irregolare. E dove c’è lavoro nero non c’è formazione. Quanto alla rappresentatività, va detto che non la si può più caratterizzare solo sul dato quantitativo; per questo è opportuno parlare di una nuova rappresentatività”. E qui è intervenuta Donata Gottardi, professore di diritto del lavoro: “Comparare i Ccnl è complicatissimo ma una cosa mi sento di dire: non si può più guardare solo al trattamento retributivo, cioè alla parte economica. E’ un’operazione tutta al ribasso”. Per Romina Mura, presidente della commissione Lavoro della Camera, “Dobbiamo lavorare per indirizzare i processi innescati dal grande cambiamento verso l’equità sociale. Condivido l’idea di un nuovo modello di contrattazione improntata alla reciprocità. Un meccanismo pattizio che supporti la trasformazione”. “La contrattazione collettiva deve prevedere un reciproco riconoscimento tra chi crea il lavoro e chi lo svolge. E’ un principio che ci porta a promuovere la cultura dell’impresa e della persona”. A dirlo oggi Angelo Raffaele Margiotta, segretario generale Confsal. Che serva una rivoluzione culturale fondata sulla formazione continua del capitale umano lo ha detto nel saluto iniziale il ministro Patrizio Bianchi: “Il capitale umano deve essere soggetto a un investimento continuo e ingente. Occorre ripartire dalla formazione”. Di Formare il capitale umano per la transizione ecologica e digitale si è parlato nella seconda sessione, coordinata da Angelo Maria Petroni, segretario generale Aspen Italia. Maurizio Sacconi, presidente Associazione Amici di Marco Biagi, ha subito avvertito che “non si è abbastanza attenti ai mercati transizionali. Le transizioni sono continue e chiedono interventi mirati. Invece, si è ancora impegnati a difendere l’esistente”. Ha poi dichiarato di “non credere molto al meccanismo Gol a favore di un’astratta occupabilità. E’ antistorico, perché è finito il tempo delle figure standard. La formazione deve essere personalizzata e deve partire dalla domanda, dai bisogni delle imprese”. Di formazione legata al lavoratore, al suo progetto personale di crescita e di carriera ha parlato Andrea Laudadio, vicepresidente Tim Academy: “Le persone sanno scegliere come e quando e cosa imparare”. Per Luigi Guerra, dell’Accademia di Bologna, “bisogna avere la capacità di attivare la costruzione condivisa delle conoscenze, di promuovere il saper fare”, mentre per Stefano Blanco, direttore della Fondazione Collegi Milanesi, la sfida è “imparare ad imparare. Assistiamo a una sovrabbondanza degli anni di formazione, sarebbe necessaria una compressione degli anni di studi, focalizzandoci sui contenuti”. Assolutamente decisivo risulta mettere mano al sistema delle politiche attive e passive. Cesare Damiano ha sostenuto che “con il tempo del superamento della distinzione tra lavoro dipendente e lavoro autonomo, che richiede la costruzione di una base di diritti universali, è giunto anche il tempo del superamento della distinzione tra politiche attive e passive. Tra le due un continuum, la formazione. Formazione per chi il lavoro non ce l’ha e deve trovarlo, formazione per chi ce l’ha e deve mantenerlo aggiornandosi, formazione per accrescere le competenze e collegarsi ai nuovi profili europei degli inquadramenti professionali”. Raffaele Michele Tangorra, commissario straordinario di Anpal ha difeso la bontà del progetto Gol definendolo “uno strumento utile a far incontrare domanda e offerta cogliendo sia la richiesta delle competenze da parte dell’azienda sia i bisogni effettivi del lavoratore”. Sul Fondo Nuove Competenze ha detto: “Dobbiamo imparare dall’esperienza e investire sulle competenze. Bisogna lavorare sugli strumenti di assesment e partire dall’analisi della domanda per orientare le politiche di formazione”. Per Walter Rizzetto, della commissione Lavoro della Camera “sarebbe un enorme danno levare risorse ai fondi interprofessionali, anzi bisognerebbe renderle strutturali per almeno cinque-dieci anni. La formazione dovrebbe essere continua e perenne per tutte le fasce di lavoratori. Addirittura obbligatoria per chi oggi prende la cassa integrazione, la Naspi o il Reddito di cittadinanza. Quanto ai centri dell’impiego devono davvero apprendere cosa ha fatto il privato in questo ambito”. Hanno concluso i lavori Vincenzo Silvestri, presidente di Fondazione Consulenti per il lavoro, per cui “la normativa italiana in tema di politiche attive esiste da 30anni. Perché aspettare nuovi programmi per attuarla? Serve una collaborazione tra pubblico e privato sulla spinta di GOL” e la professoressa Maria Giovannone che ha illustrato i punti fondamentali per riformare le politiche attive, a partire dal superamento della loro regionalizzazione.

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