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Otorino Danesi: ‘Serviranno 5 anni per recuperare casi non diagnosticati’

Di Redazione |

Roma, 27 mag. (Adnkronos Salute) – “Dopo due anni, segnati dalla pandemia, una delle sfide future dell’otorinolaringoiatria è recuperare il tempo perduto e con esso i pazienti rimasti indietro dal punto di vista della diagnosi, della terapia e dell’attività di screening. A causa dell’emergenza sanitaria hanno subito uno stop moltissimi pazienti, ma quelli che ci preoccupano di più sono i malati oncologici. Dalle nostre stime, ci vorranno dai 4 ai 5 anni per recuperare il ‘gap’ di casi non diagnosticati, di casi non controllati, di casi non curati”. Così all’Adnkronos Salute Giovanni Danesi, direttore Dipartimento neuroscienze e direttore unità operativa di otorino e microchirurgia della base cranica all’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, a margine del 108° congresso nazionale della Società italiana di otorinolaringoiatria e chirurgia cervico-facciale (SIOeChCF) in corso a Roma fino a sabato 28 maggio. “Questa sarà una delle sfide dell’otorinolaringoiatria del futuro – prosegue – perché il sistema è stato relativamente implementato, più o meno le strutture e le risorse sono quelle precedenti la pandemia ma le stesse si ritroveranno ad affrontare un carico di lavoro e di pazienti sicuramente per i prossimi anni molto rilevante. È una sfida che ci vede pronti ma per la quale ci vogliono le risorse. Questo congresso – afferma Danesi – rappresenta una sorta di ripartenza perché l’isolamento per la comunità scientifica è un vulnus terribile. Questo isolamento ci ha allontanato soprattutto dai pazienti, da chi ha bisogno di essere curato”. Secondo Danesi, “quella dell’otorinolaringoiatria è la ‘cenerentola’ della chirurgia perché non c’è la percezione corretta di quello che viene fatto. Questa è in parte anche colpa nostra. Noi, infatti, non siamo stati pronti a sfruttare la comunicazione attraverso media e i social. Oggi è tutto marketing e immagine, anche in sanità bisogna maneggiare questi processi seppur in maniera adeguata. Ma uno dei difetti della società scientifica – sottolinea – è non aver percepito il valore della comunicazione per poter dare una immagine dell’otorinolaringoiatria diversa. La nostra una specialità fondamentalmente chirurgica, fa una chirurgia molto complessa che si avvale di ausili tecnologici assolutamente impensabili solo 10 anni fa, quindi va ripensata e riproposta alle istituzioni in termini aggiornati e realistici”. “L’otorino per molti è ancora il chirurgo che esegue interventi alle tonsille, alle adenoidi o per sistemare un setto nasale. In realtà – sostiene Danesi – è un chirurgo, uno specialista che si occupa di patologie estremamente complesse oncologiche e non oncologiche, tra cui 3000 neurinomi l’anno, uno ogni 100mila abitanti. Il neurinoma è un tumore benigno endocranico che se non viene curato adeguatamente dà una prognosi pessima. Da qui la necessità di sensibilizzare istituzioni e opinione pubblica sul nostro lavoro”. Si tratta di una “seconda sfida per migliorare l’otorinolaringoiatria – aggiunge Danesi – attraverso le risorse, l’ottimizzazione di processi, dei rapporti e delle organizzazioni. Ma non dobbiamo dimenticare che se da una parte si sta pensando di dare una svolta alla digitalizzazione della professione questo non può essere inteso come una sostituzione ma semmai come un affiancamento perché il rapporto medico-paziente rimane centrale e fondamentale”. La necessità di “una rifondazione dell’immagine della specialità” è dirimente per Danesi. “Le istituzioni guardano i numeri – sottolinea l’esperto – e guardano qual è l’intervento più frequente in otorinolaringoiatria, che è ancora la tonsillectomia. Risultato? La ricaduta immediata nella percezione è quella di una specialità ferma alle adenoidi e alle tonsille al setto nasale. Il rilancio, invece, parte dalla sensibilizzazione, dal fatto di poter dire che il panorama chirurgico in questa specialità è molto più vasto e complesso di quanto si possa immaginare. Io mi occupo di tumori della base cranica, che sono un ambito straordinario di sviluppo ma anche di sfida, sono neoplasie complesse” In aggiunta, “ci sono pochi centri in Italia che si occupano di questi tumori ma non ho la certezza che sia ben chiaro ai tavoli istituzionali dove poi si decide dove indirizzare le risorse. I nostri numeri purtroppo non incidono” conclude.

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