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Sanità: endocrinologi, ‘scarsa cultura su disforia di genere, anche tra medici’

Di Redazione |

Milano, 29 ott. (Adnkronos Salute) – “Non è una malattia, è solo la consapevolezza che una persona ha dell’identità del sé. Non si parla di orientamento sessuale, ma si cerca di aiutare a rispondere alla domanda ‘chi sono io’? Nonostante l’interesse mediatico per il discusso disegno di legge Zan, la disforia di genere è un complesso fenomeno che resta sconosciuto ai più”, segnalano gli esperti dell’Associazione medici endocrinologi (Ame), che dal 2014 hanno costituito un gruppo di lavoro interdisciplinare dedicato, e che con la collaborazione di Consulcesi Club hanno realizzato un corso di formazione professionale rivolto a medici, infermieri e altri professionisti. Per l’Ame è infatti “importante fare cultura e creare consapevolezza, iniziando proprio dalla classe medica e sanitaria”. “Disforia, transgender, che significa? Per capirlo dobbiamo essere disposti a uscire dal concetto di sistema binario che, nell’immaginario collettivo, vede contrapposti il genere maschile e quello femminile. In realtà l’identità di genere può essere immaginata come uno spettro in cui agli estremi si collocano il maschile e il femminile e, tra questi due poli un’infinita varietà di possibili identità ed espressioni di genere”, afferma Antonio Prunas, psicologo esperto di disforia di genere e tra gli autori del corso Ecm di Consulcesi. “In un sistema non binario – sottolinea – sono possibili contaminazioni tra i generi, oscillazioni o movimenti fluidi tra i generi o l’appartenenza a nessun genere. Su questa base concettuale nascono le definizioni di cisgender (una persona sente di appartenere al genere assegnato alla nascita), e transgender, che sono le persone in cui il genere cui sentono di appartenere non coincide con quello assegnato loro alla nascita”. Gli esperti spiegano che “è una condizione personale”, che “rientra nella sfera più intima e profonda del soggetto. Per incongruenza di genere si intende la condizione delle persone a cui è stato assegnato uno specifico genere alla nascita, ma durante lo sviluppo psicosessuale non si sono identificate nel genere originariamente assegnato. Tra queste, alcune persone vivono una situazione di importante disagio psico-fisico e sociale e risultano quindi affette da disforia di genere”. “Una condizione associata a sofferenza clinicamente significativa – evidenziano gli specialisti – spesso con compromissione del funzionamento in ambito sociale, lavorativo e affettivo. Sulla base degli studi internazionali, che parlano di una percentuale di popolazione che varia tra 0,5 e 2,8%, si stima in Italia una popolazione T* compresa tra 240.000 e 1.696.000 persone. Un numero sottostimato – dicono gli esperti – perché in Italia non esistono dati epidemiologici e queste persone spesso vivono nell’ombra, senza sottoporsi a visite mediche né a controlli”. “Manca un’adeguata presa in carico di queste persone dal punto di vista medico – commenta Stefania Bonadonna, endocrinologo, coordinatore del gruppo di lavoro dell’Ame sulla disforia di genere e docente del corso Ecm – a partire dalla confusione terminologica, fino alla scarsa preparazione che impedisce di accompagnare i soggetti nel lungo processo di transizione, lavoro che dovrebbe coinvolgere diversi professionisti della rete di assistenza”.

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