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Sige, screening endoscopico cancro colon ‘a macchia di leopardo’ in Italia

Di Redazione |

Il cancro del colon-retto – ricorda la Sige in una nota – è un grave problema sanitario in tutto il mondo. Basti pensare che rappresenta la terza neoplasia per incidenza e la seconda per mortalità: sono quasi 50mila i nuovi casi in un anno in Italia, circa 500mila in Europa e quasi 2 milioni nel mondo. A fare la differenza nella storia clinica dei pazienti è lo screening, che consente una diagnosi precoce e una riduzione della mortalità.

“In Italia, lo screening utilizzato è il test del sangue occulto nelle feci, eseguito ogni 2 anni nelle persone tra 50 e 69 anni, ad eccezione della regione Piemonte dove viene eseguita la rettosigmoidoscopia”, spiega Marcello Maida, dirigente medico dell’Unità operativa complessa di Gastroenterologia degli ospedali Riuniti Sant Elia-Raimondi di Caltanissetta e membro del consiglio direttivo nazionale della Sige. “Se il test di primo livello risulta positivo – spiega ancora Maida – il programma di screening prevede l’esecuzione di una colonscopia come esame di secondo livello. La qualità di questo esame è perciò determinante nel garantire l’efficacia dell’intero programma di prevenzione”. L’obiettivo è infatti quello di rimuovere eventuali lesioni pre-cancerose, come ad esempio i polipi, in una fase precoce ed asintomatica. In questo modo si interviene in maniera meno aggressiva e aumentano le possibilità di cure efficaci, meno impattanti per il paziente e con una maggiore probabilità di guarigione.

L’indagine ha analizzato i dati di 64 ospedali in 17 regioni italiane: circa il 50% proveniente dal Nord, quasi il 20% (18,75%) dal Centro e poco più del 30% (31,25%) dal Sud Italia. Ogni centro risulta dotato di una media di circa 5 endoscopisti coinvolti nello screening e di questi circa 3 su 4 (il 71,4%) sono gastroenterologi. Se la maggior parte dei centri (93,8%) programma una colonscopia in tempi brevi e comunque entro 3 mesi, a colpire è il dato discrepante nelle varie regioni italiane. Infatti, si registra mediamente in un anno un numero significativamente più alto di colonscopie di screening (6.500) eseguiti al Nord rispetto ai centri centro-meridionali (rispettivamente 4.000 e 3.000). Stessa discrasia si rileva nel numero degli endoscopisti, che sono mediamente 6,5% al Nord e 5% e 3,5% al centro e al Sud.

“Come Sige abbiamo deciso di eseguire uno studio ad hoc per valutare la qualità della colonscopia di screening in Italia, delle tecnologie con cui viene eseguita e qual è l’aderenza alle linee guida internazionali nella pratica clinica. Se da una parte possiamo ritenerci soddisfatti dalla qualità offerta ai pazienti in Italia – continua Maida – dall’altra non possiamo non registrare una grande eterogeneità tra tutti i centri partecipanti, con una notevole difformità di comportamento nell’esecuzione dello screening endoscopico del tumore del colon-retto. Questi aspetti andrebbero adeguati e uniformati a livello nazionale mediante un monitoraggio costante dell’attività dei centri screening”.

“Lo screening del carcinoma del colon ha un grande impatto sulla storia naturale di questo tumore e contribuisce a ridurne la mortalità”, ricorda Maida. “Pertanto, le istituzioni dovrebbero porre maggiore attenzione nell’implementare queste attività. Innanzitutto – sostiene il gastroenterologo – con una linea di indirizzo nazionale al fine di garantire una maggiore uniformità di comportamento tra tutti i centri ma anche attraverso un maggiore investimento per garantire personale sufficiente e strumentazione tecnologica adeguata e costantemente aggiornata. In questa ottica – conclude – le società scientifiche nazionali potranno avere un ruolo importante nel supportare il processo di uniformità e la crescita dei singoli centri in tutto il territorio nazionale”.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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