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IL REPORTAGE

Agrigento capitale italiana della cultura: perché tra ritardi e politica famelica la vetrina del 2025 è già a rischio flop

Statuto con manager tecnici bocciato, fondazione ferma al palo. Il sindaco: «Si parte subito». Lo scontro con la “corrente turistica” di FdI, guidata da un espulso

Di Mario Barresi |

Manca poco più d’un anno. Allo scoccare della mezzanotte del primo gennaio 2025, infatti, Agrigento indosserà l’abito scintillante di Capitale italiana della Cultura. Il tempo c’è. Per recuperare quello perso. O andare incontro al disastro.

E non è una questione di uccelli del malaugurio. Per dire: quel galantuomo di Michele Guardì, titolare di un intero tomo dell’enciclopedia della televisione italiana, per amore della propria città aveva messo in guardia gli agrigentini. «Sinceramente non sto vedendo grandi preparativi: rischiamo una brutta figura», il monito del regista Rai intervistato ad agosto scorso da “Camper”. Apriti cielo: una bordata di polemiche, di respiro piuttosto provincialotto, con Guardì costretto a precisare che «la trasmissione era stata registrata a maggio», chiosando: «Sono sicuro che verrà fuori una bella manifestazione».

Ma il punto è: cos’è cambiato da maggio a ora? Nulla. Anzi no: oltre allo scorrere di altri quattro mesi nella clessidra, la situazione s’è ingarbugliata ancora di più. L’ultimo allarme, curiosamente, arriva da un altro personaggio tv: l’ex iena Ismaele La Vardera, ora deputato deluchiano di Sud chiama Nord e vicepresidente dell’Antimafia regionale, firmatario di un’interrogazione all’Ars: «Non è stato ancora fatto nulla di significativo con il rischio concreto che questa importante occasione per Agrigento e la Sicilia si trasformi in un enorme fallimento». Anche lui un gufo?

Chi deve fare cosa

La principale falla è nelle fondamenta: chi-deve-fare-cosa. Non c’è ancora, infatti, la fondazione che dovrebbe occuparsi di gestire gli eventi e, soprattutto, di gestire le risorse. Pubbliche e private. Ad esempio: la Campari avrebbe avviato un «interessante colloquio» con l’amministrazione comunale per diventare sponsor di Agrigento Capitale. Ma tutto resta bloccato per la mancanza di un interlocutore ufficiale: la fondazione, appunto. Il trionfante comitato promotore della candidatura non si riunisce da mesi, se si eccettua la photo opportunity alla Valle dei Templi in pieno agosto. Manca l’ente in sé, sconosciuti la dote patrimoniale e il contributo di ciascun socio fondatore. E non c’è lo statuto. O meglio: ci sarebbe, ma è stato già impallinato.

Guerra politica

Qui si entra nel sistema, molto pirandelliano, delle maschere della politica. Locale, ma condizionata anche da dinamiche extra-girgentane. «In questo momento – denuncia Giovanna Iacono, deputata nazionale del Pd, sul palco agrigentino della festa regionale dell’Unità – dentro l’amministrazione comunale c’è una guerra politica in corso, come quella che c’è nell’assessorato regionale al Turismo per altre vicende, sulla gestione di una fondazione che non dovrà organizzare concerti e balletti, ma capitalizzare il riconoscimento per farlo diventare risorsa». E dire che il sindaco Franco Miccichè, eletto tre anni fa al grido di «è una persone perbene, fuori dai giochi dei partiti», ancorché “inventato” da Roberto Di Mauro, dioscuro agrigentino di Raffaele Lombardo, era convinto di aver chiuso la questione. Con lo statuto della fondazione, deliberato dalla giunta comunale, che blinda le nomine “tecniche”: Roberto Albergoni executive manager e Margherita Orlando direttore generale. I due vertici dell’associazione culturale “MeNo”, autrice (a pagamento) del dossier vincente di Agrigento, dopo essere stata artefice di Palermo 2018. Nella bozza di statuto approvata, inoltre, “MeNo” entra come socio fondatore.

Il “giocattolo” di Agrigento 2025 in mano ai tecnici? Apriti cielo. Si apre uno scontro durissimo, a dire il vero attestato dalla severa bocciatura dello statuto da parte dei revisori dei conti del Comune: dubbi sulla copertura finanziaria e sul ruolo di “MeNo”. Ma è soprattutto la politica a ribellarsi. E, nel centrodestra al governo, è la Dc di Totò Cuffaro a fare la voce grossa. Con il capogruppo consiliare Pasquale Spataro, che parla di uno statuto «fuori da ogni logica» subito dopo la denuncia di Carmelo Pace, capogruppo all’Ars, sugli «evidenti ritardi nella macchina amministrativa, ancora ferma al palo». Ma le vere bordate arrivano da Empedocle Consorzio universitario Agrigento, socio della fondazione, presieduto da Nenè Mangiacavallo, già influente capocorrente dc. «Serve garantire trasparenza e legalità»: Ecua contesta lo statuto (nelle parti su “MeNo”) e minaccia di rivolgersi all’Anac.

L’alleato

Ma la vera spina nel fianco di Miccichè – e allo stesso tempo, sussurrano ad Agrigento, la ragione della scelta di puntare sui tecnici, senza far toccare palla ai partiti – è rappresentata dall’alleato forte della sua maggioranza: Fratelli d’Italia. O meglio: dal potente leader locale della “corrente turistica” del partito. In teoria un ex meloniano, visto che Lillo Pisano, già capo di gabinetto vicario dell’ex assessore regionale al Turismo, Sandro Pappalardo, e poi del successore Manlio Messina, è stato platealmente cacciato da FdI. Addirittura prima di essere eletto, in un collegio blindato alla Camera. Le sue frasi inneggianti a Hitler (definito «un grande statista») e Putin, ostentate in passato sui social, fecero il giro d’Italia, imbarazzando Giorgia Meloni in persona. Prima sospeso e poi espulso da FdI, Pisano – ironia della sorte – ha trovato ospitalità nel gruppo di Noi Moderati (sic!) a Montecitorio. Ma, in contrapposizione all’altra big agrigentina di FdI, Giusi Savarino, il deputato nazionale continua a lasciare i suoi uomini, rimasti dentro il partito, nei posti di potere, a partire da Costantino Ciulla, assessore comunale con deleghe – ovviamente – a Cultura, Turismo e Grandi eventi. Pisano non si nasconde affatto: presenzialista, soprattutto a incontri su Agrigento Capitale, rivendica con i suoi le interlocuzioni, alla vigilia della vittoria della nomination, con questo ministro e con quell’altro pezzo grosso del partito.

Miccichè non digerisce le ingerenze diplomatiche che teme possano diventare di altro tipo. Del resto, ci sarebbe uno strumento bello e pronto per gestire tutto: la fondazione Pirandello, molto apprezzata a destra. E a Pisano il sindaco ha già lanciato un paio di segnali. Prima nel “caso Elettra Lamborghini”, quando, alla vigilia di ferragosto, quasi tutta la giunta diserta la seduta in cui si doveva deliberare un contributo per un concerto in programma lo stesso giorno, a cui il deputato (ex?) meloniano tiene molto, quasi quanto il concertone di capodanno 2023 da 200mila euro con Achille Lauro ospite d’onore. «Manco se venivano gli U2…», l’ironia nell’avvelenato dibattito in consiglio, che fa chiarezza anche sui costi del Natale (146mila euro, di cui 100mila e di eventi) con fondi della tassa di soggiorno affidati a Distretto turistico e fondazione Pirandello. L’altra contromisura del sindaco civico-autonomista contro la componente turistica di FdI è stata silurare, nel posto in cda del Consorzio universitario spettante al Comune, il vicepresidente Giovanni Di Maida, meloniano vicinissimo a Pisano, sostituendolo con Giovanni Ruvolo, cardiochirurgo di fama, incidentalmente marito di Margherita La Rocca, deputata di Forza Italia all’Ars. Con il «totale avallo di Renato Schifani», giurano in molti.

Il budget

Sia chiaro: in ballo, checché ne pensino gli aspiranti commensali, non c’è un’abbuffata di finanziamenti. Nel budget di 6.282.559 euro ipotizzato nel dossier della candidatura, infatti, 3,3 milioni sono stanziati dal Comune, più uno a testa da Regione e ministero della Cultura (ma Gennaro Sangiuliano avrebbe detto al sindaco che c’è la possibilità di raddoppiare il contributo), più altri 950mila euro fra progetti autofinanziati, sponsor, biglietti e merchandising. Ma non finisce qui. Perché anche il ministero del Sud dovrebbe fare la sua parte. «Assieme al sindaco – rivela la deputata regionale Savarino – abbiamo incontrato Raffaele Fitto, che s’è detto disponibile a finanziare con una corsia privilegiata un pacchetto di progetti esecutivi. Non opere faraoniche, ma interventi con scadenza immediata, da completare entro il 2026, per far sì che in città rimanga qualcosa di questa grande occasione di rinascita».

E sarebbe cosa buona e giusta, visto che – nonostante qualche cantiere aperto – Agrigento, al di là dei tesori che tutto il mondo ammira a bocca aperta, per il resto sembra ferma. Con strade intasate da un ciaffico degno della Palermo di benignana memoria, con parcheggi in cui, senza nessuna delle app diffuse ovunque, bisogna inserire ancora i centesimi; con un centro storico che, nonostante il recupero della Cattedrale (circa 27 milioni per San Gerlando e dissesto idrogeologico) risente dell’assenza di un piano particolareggiato e perde regolarmente i finanziamenti regionali (Ragusa Ibla ogni anno si prende quelli di Agrigento).

Miccichè ci mette la faccia. «A ottobre la fondazione sarà operativa, pure a costo di qualche modifica che non stravolga lo statuto. Poi partiremo di slancio: ho le idee chiarissime su tutto», dice a La Sicilia appena uscito da un evento del Pd.

I timori

Vogliamo credergli. Anche perché l’alternativa sarebbe un finale horror di questa meravigliosa favola agrigentina. «Corri Peppi’, corri…», è la frase-chiave dello spot che ha emozionato i giudici che dovevano scegliere la Capitale italiana della Cultura 2025. Nel video il piccolo Peppino, interpretato da Aldo Grisafi, sgambetta fra i tesori di quella che il poeta Pindaro definì «la più bella città dei mortali». Ma ora, per colpa di ritardi e di politici famelici, c’è il rischio di andarsi a spiaccicare contro il fallimento. E, per fuggire dalla figuraccia, non si potrà neppure salpare con “Avenir”, «la prima nave europea specificamente progettata per il salvataggio in alto mare», inserita – in ossequio al tandem con Lampedusa come Capitale della Cultura – fra i progetti da finanziare nel 2025.

m.barresi@lasicilia.it

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