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Agrigento, Fabrizio Gifuni al Palacongressi: “In questa terra c’è una parte delle mie radici”

"Con il vostro irridente silenzio” andrà in scena domani alle 20:30

Di Luigi Mula |

“Con il vostro irridente silenzio”, ideato ed interpretato da Fabrizio Gifuni, è il titolo dello spettacolo che andrà in scena domani 31 gennaio, alle 20:30, al Palacongressi di Agrigento, per il “Palacongressi Festival”, organizzato dal Parco Archeologico e Paesaggistico della Valle dei Templi di Agrigento, con la direzione artistica di Gaetano Aronica. Si tratta di un “esperimento teatrale”, come ama definirlo lo stesso autore; uno studio sulle lettere della prigionia e sul memoriale di Aldo Moro, che ricostruisce i 55 giorni di prigionia del grande statista italiano, dalla strage di Via Fani (16 marzo 1978) al sequestro ad opera delle Brigate Rosse, fino alla condanna a morte e al ritrovamento del suo cadavere, il successivo 9 maggio. Fabrizio Gifuni, attraverso un doloroso e ostinato lavoro di drammaturgia, si confronta con lo scritto più scabro e nudo della storia d’Italia, come ci racconta lo stesso pluripremiato attore romano in questa intervista esclusiva.

Definisce lo spettacolo un esperimento teatrale necessario nato dall’esigenza e dall’urgenza di avere qualcosa da dire che non può essere taciuto, che non deve essere taciuto. Mi piacerebbe conoscere come ha costruito questo lavoro dal punto di vista drammaturgico?

“Da uomo di teatro ho molta fiducia nei testi e nella parola. Credo che queste carte ci aiutino, più di ogni altra cosa, a capire meglio cosa accadde in quel momento cruciale della nostra storia. L’assassinio di Aldo Moro sta alla nostra storia come l’assassinio di Kennedy a quella americana. Quella di Aldo Moro è una vicenda su cui sono state scritte migliaia di pagine dando vita ad una vera e propria emeroteca di Babele in cui è facile perdersi. Per questo motivo ho pensato che tornare a queste carte fosse la cosa più semplice. Decidere di condividerle con i cosiddetti spettatori, che per me sono parte attiva di un piccolo rito che da più di 2.500 anni si celebra nei teatri, qualcosa che passa attraverso l’esperienza viva di corpi. Tutto questo fa oggi dei teatri dei luoghi sacri, dei recinti che dovrebbero essere protetti proprio perché fuori c’è tanto rumore e poco ascolto e, soprattutto, c’è poco spazio per condividere un momento di riflessione emotiva”.

È stato difficile calarsi nel personaggio?

“Come personaggio ho incontrato più volte Moro nel mio cammino. La prima volta è stato con Marco Tullio Giordana nel film Romanzo di una strage, dedicato alla strage di Piazza Fontana, dove io interpretavo un Moro più giovane che nel 1969 era Ministro degli Esteri. Nel 2018, poi, inizio questo percorso in teatro con le carte di Moro, lavoro che Marco Bellocchio è venuto a vedere a teatro mentre stava preparando la serie Esterno Notte che è poi diventata un progetto cinematografico. Marco è rimasto molto colpito dallo spettacolo e mi ha chiesto di proseguire insieme il lavoro e interpretare Aldo Moro”.

Con il vostro irridente silenzio”, è una frase scritta da Moro in una delle sue ultime lettere indirizzata ai suoi compagni di partito. Perché ha scelto questo titolo?

“Quello che Moro scrive in quei 55 giorni sono circa un centinaio di lettere, alcune brevi disposizioni testamentarie e un testo di straordinaria importanza che va sotto il nome di Memoriale Moro e sono tutte le risposte che Aldo Moro diede durante il cosiddetto processo rivoluzionario nella prigione del popolo. In quei giorni Moro scrive e si esprime con una chiarezza e con una lingua straordinariamente potente, ricca e piena di immagini e di suggestioni. Sono le parole di un grande uomo di Stato a cui stanno stringendo un cappio intorno al collo. All’interno di questa lingua sorprendente Moro usa spesso delle espressioni memorabili; una di queste, tenuta in una delle ultime lettere che scrive al segretario della DC, è “Con il vostro irridente silenzio avete offeso la mia persona, la mia famiglia…”. Questa è la storia di un grande tradimento shakespeariano; Moro si sente profondamente tradito da quelli che lui definisce ex amici. Una delle cose contro cui urlava dalla prigione era, appunto, questo silenzio assordante con cui venivano accolte le sue parole”.

Perché è importante il valore della memoria?

“Nel prologo racconto la storia di queste carte che, sostanzialmente, rimangono nascoste fino a dopo il crollo del muro di Berlino. Improvvisamente appaiono nel 1990 dietro un pannello di cartongesso in un appartamento di Milano. Quando queste carte diventano pubbliche cadono in un secondo irridente silenzio; però questa volta il silenzio riguarda noi, la comunità italiana che non ha più avuto voglia di leggere e di ascoltare queste carte, come se queste carte venissero da un passato lontano o perduto, come se queste carte non avessero più niente a che fare con l’Italia di oggi. Credo che ci siamo piegati, molto docilmente, a qualcosa che ci è stato detto con una certa insistenza, che la memoria di questo Paese è una cosa abbastanza inutile, una cosa che ci può confondere le idee, una cosa divisiva. Credo che riallacciare i fili con quelle carte e in generale con la nostra memoria ci aiuti a comprendere meglio il nostro presente e magari il nostro futuro”.

Passiamo ad altro argomento: è felice di tornare in Sicilia con il teatro?

“Con il teatro manco dalla Sicilia da tantissimo tempo. Se la memoria non mi tradisce sono venuto a Taormina nel luglio del 1992, appena diplomato all’Accademia di arte drammatica Silvio d’Amico, per fare uno splendido lavoro su Amleto, diretto da Orazio Costa, con una classe molto bella e fortunata: i miei compagni di corso si chiamavano e si chiamano Luigi Lo Cascio, Pier Francesco Favino, Alessio Boni. Ci diplomammo tutti a Taormina”.

Lei ha anche origini agrigentine?

“Ho accettato con grande gioia l’invito di Gaetano Aronica, che conosco da tanti anni, di venire ad Agrigento. A Grotte c’è una parte delle mie radici; uno dei miei nonni materni, infatti, vi era nato e cresciuto, poi si è trasferito a Roma. Sono, inoltre, felice di inaugurare la nuova stagione di prosa del Palacongressi perché Agrigento sarà Capitale Italiana della Cultura nel 2025”.

Il suo auspicio?

“Il mio auspico è che Agrigento 2025 non si esaurisca in un anno di eventi belli e spumeggianti. Mi auguro, invece, che sia l’occasione per una reale crescita del territorio. È difficile far crescere dei territori che partono in condizioni spesso assai svantaggiate rispetto ad un altre parti d’Italia. Auspico che il divario tra Nord e Sud non debba aumentare per l’incoscienza di chi ci governa. Le nuove generazioni hanno tutto il diritto di immaginare il loro futuro nella propria terra. Per questo motivo sono ulteriormente felice perché ho saputo che la sera dello spettacolo ci saranno tante scolaresche. È importante che i giovani si avvicinino al teatro, alla bellezza e ad un’idea di futuro meno buia e più luminosa”. (Foto di Filippo Manzini)COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA