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Brusca, viaggio in Via Papillon dove 25 anni fa fu catturato il boss

Nella strada di Cannatello oggi abita una giovane professionista con la sua famiglia, lungo la strada stupore per la scarcerazione del latitante

Di Francesco Di Mare |

A Cannatello, in via Papillon, negli ultimi 25 anni quasi tutto è cambiato. In quel “quasi” rientra una casa, quella che fu covo del boss Giovanni Brusca, detto “u Verru” (il porco), oppure lo “scannacristiani” per la sua ferocia, tornato semilibero da alcuni giorni, dopo avere scontato un quarto di secolo in carcere. Arrestato il 20 maggio 1996, nel 2000 gli venne riconosciuto lo status di collaboratore di giustizia. Una collaborazione che ha portato ai frutti resi possibili dalla legge che proprio Giovanni Falcone aveva sostanzialmente concepito. Il 31 maggio scorso Brusca è stato liberato e sottoposto alla libertà vigilata per ulteriori 4 anni, secondo quanto stabilito dalla Corte d'Appello di Milano.  La strada, il quartiere, quasi un villaggio dove “u Verru” trovò rifugio dalla caccia dello Stato sono cambiati in maniera radicale. Scriveva Attilio Bolzoni su Repubblica all’indomani del blitz che portò all’arresto del latitante: «Siamo entrati nel covo di Giovanni Brusca dopo avere attraversato una campagna arsa che scende verso il mare. Strade bianche e deserte che tagliano un territorio di nessuno, la foce di un fiume, un bunker di cemento dell'ultima guerra, una spiaggia sporca, migliaia di case tutte uguali, tutte senza colore e senza anima. E' Agrigento? E' Favara? E' Cannatello, sterminata casbah abusiva dove non arriva l' acqua e non ci sono le fogne». Oggi non solo ci sono le fogne e tutti i servizi necessari, ma ai lati del lungo viale che caratterizza la via Papillon sorgono villette di varia fattura, quasi tutte di gradevole aspetto. La casa a due piani dove venne scoperto Brusca e famiglia è sostanzialmente nelle stesse condizioni di qual caldissimo 20 maggio 1996. Solo le tapparelle pare siano state cambiate. Ci abita una giovane professionista, (bambina all’epoca dell’arresto del boss, nipote del proprietario del fabbricato) con la figlia e il compagno. Tutta gente perbene, estranea all’epoca come oggi alle dinamiche mafiose che portarono il superboss proprio tra quelle quattro pareti. La vita in questa abitazione è filata via normalmente in questi 5 lustri. Nell’era precovid è stata anche affittata ai turisti che soprattutto dal Nord Italia hanno scelto le spiagge agrigentine per trascorrere qualche giorno in estate.  Quello che era 25 anni fa ce lo racconta ancora Bolzoni: «Ed eccoci qui il giorno dopo nella sterminata casbah di Cannatello, tra le strade che sollevano polvere a cercare la sua tana. Partiamo dal bar Zanzibar, l' unico della zona. Saliamo per due chilometri verso la montagna, ci sono traverse ogni cento metri, le case sono tutte disabitate. Ridiscendiamo verso il mare. Risaliamo. C' è un cartello spezzato. La freccia indica via Pap… E' via Papillon. Eccolo qui il covo di Giovanni Brusca. Dieci minuti di auto dal centro di Agrigento e lontano dal mondo. Entriamo. C' è un viottolo di ghiaia circondato da pini marini e piante grasse. Ancora qualche metro e c' è un grande gazebo in muratura. E' quasi vuoto. Ci sono bombole di gas, un vecchio frigorifero e una bicicletta bianca fuori uso. Attaccato al gazebo c' è un piccolo magazzino per gli attrezzi. Intorno si estende un uliveto. La casa è davanti. Sembra un cubo grigio. Il pianoterra e poi ventuno scalini per salire al primo piano. Cinque stanze e il bagno giù, cinque stanze e il bagno sopra. Due appartamenti identici. Giovanni Brusca, sua moglie Rosaria e Davide vivevano sotto. Vincenzo Brusca, sua moglie Piera e la piccola Antonina al primo piano». Dopo 25 anni questa casa è vissuta da una giovane famiglia di gente perbene. I residenti di questo lungo corridoio di villette chiedendo di non essere intervistati, manifestando comunque stupore per la fine anticipata della detenzione di un sanguinario come pochi, dal quale però lo Stato ha tratto aiuto per combattere altri delinquenti affiliati e no a Cosa nostra. In via Papillon abitano molte giovani famiglie, quasi tutte di Favara, gente che quel 20 maggio 1996 frequentava le scuole primarie e che a distanza di 25 anni dal blitz si godono le loro belle case, ben lontane dalla desolazione in cui “U Verru” decise di nascondersi nell’ultima fase della propria latitanza. Qui, dove prima si sollevava la polvere passando in auto, regna la pulizia, il decoro e bimbi che scorrazzano in bici e che per loro fortuna non hanno boss come vicini di casa.   

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