MARE E DINTORNI
In crisi anche la “masculina da magghia”. «Se la pesca artigianale non cambia pelle, non esisterà più»
Il Mediterraneo sempre più povero di risorse ittiche Il presidio Slow Food “Masculina da magghia” lancia un progetto per rigenerare l’economia locale e salvare la piccola pesca artigianale
Trasformarsi per non estinguersi. Rivoltare come un calzino il mestiere (in crisi) del pescatore artigianale, facendolo diventare una sorta di “guardiano del mare” sulla scorta di quello che è già avvenuto nelle campagne con gli “agricoltori custodi”. È l’unica strada da percorrere per mettere in moto quell’economia circolare del mare che potrebbe salvare dall’oblìo un mestiere che non vuole fare più nessuno.
Ne è convinto Gaetano Urzì armatore e responsabile del Presidio Slow Food “Masculina da magghia”, impegnato da sempre per rendere questo settore più sostenibile e più competitivo.«Il problema della piccola pesca costiera, la pesca artigianale, è un problema globale in tutto il Mediterraneo – esordisce -. Da noi i segnali di crisi profonda e di mutazione socioeconomica sono sempre più evidenti. Abbiamo pochissimi pescatori artigianali che vivono in grande difficoltà perché pesce nel Mediterraneo non ce n’è più e comprensibilmente è mancato quel processo di ricambio generazionale che avrebbe potuto garantire un futuro a questo mestiere».
Paghiamo oggi lo scotto di anni di menefreghismo sul prelievo indiscriminato delle risorse ittiche?
«Dagli Anni 80 in poi il modo di pescare è stato sempre predatorio, non solo per lo strascico, ma anche per la pesca a circuizione con le lampare, oppure la pesca del tonno… Non si è mai ragionato in termini di autoregolamentazione, più si poteva pescare e meglio era».
Tutta colpa dei pescatori?
«Sicuramente sono i responsabili principali, ma le istituzioni che avrebbero dovuto sovrintendere alla gestione delle risorse ittiche sono state molto carenti pur in presenza di validi strumenti programmatici come il Feamp (Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca) 21-27 e i due settennati di programmazione trascorsi. Il punto è che quando si spendono i soldi non si ha la capacità – non tanto da parte della Regione quanto delle associazioni di pescatori – di effettuare progetti lungimiranti che guardino alla risorsa pesca come un bene da tutelare e valorizzare».
Quindi c’è un’incompetenza di fondo…
«Diciamo che non c’è stata l’onestà intellettuale da parte di gran parte degli attori primari di mettere a terra dei progetti seri. Ora ci troviamo in una situazione in cui veramente non c’è più pesce».

Gaetano Urzì armatore e responsabile del Presidio Slow Food “Masculina da magghia”
Un esempio?
«La masculina. Una volta la campagna di pesca delle alici andava dalla primavera ad agosto. Si pescava l’alice grossa per farla sotto sale, oggi non ce ne sono più. Persino il fermo biologico di fronte a questa situazione d’emergenza è ormai uno strumento obsoleto. Lungo le nostre coste, da un lato lo strascico è stato troppo violento e sistematico, dall’altro nel golfo di Catania il prelievo illegale di pesce di piccola taglia e di “neonato” da parte di persone che non avevano nemmeno la licenza da pesca è una pratica illegale che va avanti senza soluzione di continuità fino a oggi senza che si riesca a mettervi un freno. Esiste una piccola flotta – di cui il 90% non ha nemmeno l’autorizzazione – di pescatori “dilettanti” che di fatto si comportano da pescatori professionali i quali ogni anno pescano puntualmente il neonato nonostante sia vietato da 5 anni. Questo insieme di comportamenti socioeconomici, la mancanza di controlli ferrei, la sistematica pesca a strascico sotto costa, i cambiamenti climatici e l’invasione dei pesci alieni hanno fatto il resto per il declino della piccola pesca. L’alice che una volta si pescava con la luna piena di aprile arrivava alla taglia di 32-35 esemplari per Kg e finiva sotto sale, oggi per un Kg di alici bisogna mettere assieme oltre 50 esemplari il che significa che i pesci sono più piccoli e che la risorsa è in gravissima sofferenza».
Tre giorni fa nelle acque del golfo di Genova (dove dall’8 all’11 maggio i problemi della pesca saranno al centro di una serie di conferenze a Slow Fish 2025 ndr) c’è stata una pesca eccezionale di acciughe cui hanno partecipato anche barche provenienti da Palermo, sono state scaricate circa 10.000 casse di acciughe…
«Sarebbe stato meglio non pescarli tutti questi pesci sottotaglia. Ma chi l’ha fatto, anche se a dieci euro al kg, per 10mila casse ha incassato circa 100mila euro togliendo però dal mare una tale massa di pesce che nel frattempo sarebbe diventata dieci volte tanto e avrebbe anche, raggiunta la maturità sessuale, prodotto un’infinita quantità di stock ittico».

Significa che non si deve più pescare?
«Significa che questo mestiere deve avere il coraggio di reinventarsi e di cambiare. Abbiamo bisogno di un pescatore polivalente».
Vale a dire?
«Non può più fare il pescatore alla vecchia maniera, cioè uscire in mare, tornare e vendere quel poco che ha preso per sopravvivere. Deve diventare una figura polivalente grazie alle risorse naturali, ambientali, paesaggistiche che abbiamo. Una specie di “guardiano del mare” che faccia un po’ da guida turistica, porti avanti progetti di ittiturismo consapevole, spaziando dal racconto della biodiversità biologica del mare a quello dell’unicità geologica delle nostre coste disegnate dall’Etna nei secoli, degli strumenti di pesca, della storia della marineria, delle tradizioni legate al mare… Tirare le reti deve diventare un quinto della sua attività quotidiana».
Da dove ripartire per innescare questo processo di cambiamento?
«Dalle Aree Marine Protette, nel nostro caso Aci Trezza e Plemmirio (Sr). Con la rete di Slow Fish abbiamo elaborato un progetto che nei prossimi mesi verrà implementato, ci dobbiamo confrontare anche con la Regione che ha strumenti in grado di generare – se ben utilizzati un impatto positivo. La bussola è sempre quella dello sviluppo sostenibile che può determinare condizioni di innovazione per le attività dei pescatori artigianali. Ciò può innescare una nuova dimensione non solo economica ma anche sociale, ambientale e culturale, quella che viene definita “Economia circolare del mare”».

Noi consumatori cosa possiamo fare?
«Prendere consapevolezza e informarsi. Sapere che il modello della gastropescheria che va tanto di moda non propone più pesce di origine mediterranea e questo unito alla mancata programmazione sulla gestione delle risorse ittiche alimenta un sistema alimentare completamente distorto. Tutto questo il consumatore lo deve sapere senza girare la testa dall’altra parte se vogliamo rigenerare le economie locali».
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