8 marzo, mascherine e bavagli

Di Manuela Diliberto / 08 Marzo 2020

Mentre ci si copre il viso con le mascherine per scongiurare il contagio del Coronavirus, si celebra oggi una ricorrenza nata in area femminile socialista fra il 1909 ed il 1917, bandita in Italia durante il ventennio fascista, ripristinata nel 1945 dall’Unione Donne Italiane e riconosciuta formalmente nel 1977 dall’Onu come Giornata delle Nazioni Unite per i diritti delle Donne.
L’8 marzo si sprecano sul web migliaia di gigabyte per denunciare la pletora di ineguaglianze fra uomo e donna quali tratta, abuso sessuale, discriminazioni di genere, femminicidio, matrimoni precoci e quant’altro.

Eppure, dopo aver messo un grosso like su ogni tipo di argomento legato alla “questione femminile”, il mondo intero vacilla quando la realtà si inserisce prepotente fra le ragioni adamantine della teoria. Di grande attualità, le urla reali delle donne abusate son quelle che, fra le tante discriminazioni, stridono forse più alle orecchie: finendo per coinvolgere l’amato figlio, il vicino simpatico e il regista prediletto, esse minacciano l’amor proprio intimo e collettivo. Ma qualcosa corrobora ancor più le ragioni del silenzio trasformando definitivamente la tribolazione delle vittime in ver-gogna. In Francia e negli Stati Uniti il tempo per denunciare un abuso sessuale è di 10 anni, trascorsi i quali il reato non è più perseguibile. L’articolo 609-septies del codice penale italiano ne concede invece solo 6. Di mesi però. Private di tutela giuridica, le vittime di abuso, diversamente da quelle del contagio, dovranno così scontrarsi con la legge del silenzio che governa la società e spinge a sentirsi più che vittime, donne irresponsabili e, trascorsi i sei mesi, anche indolenti. Prodigarsi dunque in raffiche di like l’8 marzo non può essere che un bene, ma votare anche chi il detto articolo del codice penale lo vuole cambiare, sarebbe ancor meglio.


Non avvicinarsi a più di un metro da qualcuno, non toccarsi, non restare in ambienti angusti. Deploriamo le nuove restrizioni preventive che per scongiurare il contagio riducono le libertà e la fiducia nel prossimo, eppure riserviamo le stesse raccomandazioni alle nostre figlie prima che escano da casa: non avvicinarti troppo agli sconosciuti, mantieni le distanze, non rimanere sola in spazi chiusi. Credo nell’empatia attraverso la catarsi e, nell’aggiustarmi per qualche giorno la fastidiosa mascherina, mi domando se non sia questa una buona occasione per riflettere su quanto danno porti in sé, invece, l’ignominioso bavaglio imposto alle donne, da sempre.

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Redazione
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