Barcellona, una giornata con i 128 reclusi dell’ospedale psichiatrico giudiziario

Di Mario Barresi / 08 Giugno 2015

Barcellona Pozzo di Gotto. «Curnuti, tutti curnuti sono qui dentro! Lei che è giornalista, cu ‘sta penna? Curnutu macari lei è». Chissà dove andrà a finire Pietro – enormi occhi neri spiritati, sigaretta fra le dita fino all’ultimo millimetro di filtro infuocato – quando uscirà «da qui». Passeggia e bestemmia, trovando pace soltanto alla fine del corridoio lungo e stretto. Accarezza le sbarre e si lascia cadere. Un barlume di luce arriva da fuori. Oggi si chiama “secondo reparto”, ma nel 2009 – nel blitz della commissione di Ignazio Marino – era il girone dell’inferno. Il braccio di contenzione, con tre letti, di cui uno di ferro arrugginito con un buco al centro per far passare feci e urine, dove i senatori incravattati trovarono un uomo, le mani e i piedi legati con le garze, da cinque giorni.

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