«E’ provato che Raffaele Lombardo prometteva appalti per avere voti»
«E’ provato che Raffaele Lombardo prometteva appalti per avere voti»
Depositate le 325 pagine di motivazioni che hanno portato alla condanna dell’ex presidente della Regione a 6 anni e 8 mesi di reclusione per concorso esterno all’associazione. Lui: «Sentenza confligge con verità»
CATANIA – Raffaele Lombardo ha «sollecitato, direttamente o indirettamente, i vertici di Cosa nostra a reperire voti per lui e per il partito per cui militava (le regionali in Sicilia del 2001 e nel 2008 e le provinciali a Enna nel 2003) ingenerando nei medesimi il convincimento sulla sua disponibilità a assecondare la consorteria mafiosa nel controllo di concessioni, autorizzazioni, appalti e servizi pubblici». Lo scrive il Gup di Catania Marina Rizza nelle motivazioni della sentenza del 19 febbraio con la quale, a conclusione di un processo col rito abbreviato condizionato, ha condannato l’ex presidente della Regione Siciliana a 6 anni e 8 mesi di reclusione per concorso esterno all’associazione mafiosa. Il procedimento era nato da uno stralcio dell’inchiesta Iblis avviato su indagini dei carabinieri del Ros su rapporti tra mafia, imprenditori, politici e amministratori. Le motivazioni, contenute in 325 pagine, sono state depositate oggi. Secondo il giudice Rizza, l’ex governatore avrebbe «determinato e rafforzato il proposito dei capi e dei partecipi della medesima associazione di acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o il controllo di attività economiche, concessioni, autorizzazioni, appalti e servizi pubblici» e di «ostacolare l’esercizio del diritto di voto e di procurare voti per sé e per altri». Per il Gup Rizza appare «provato» che Raffaele Lombardo abbia «contribuito sistematicamente e consapevolmente», anche mediante «le relazioni derivanti dalla sua pregressa militanza in più partiti politici», alle «attività e al raggiungimento degli scopi criminali dell’associazione mafiosa» per «il controllo di appalti e servizi pubblici». Il Gup ritiene che l’ex presidente della Regione con «la promessa di attivarsi in favore dell’associazione mafiosa nell’adozione di scelte politiche e amministrative abbia intenzionalmente ingenerato, mantenuto e rafforzato il diffuso convincimento sulla sua completa disponibilità alle esigenze della consorteria». Il giudice scrive ancora che Raffaele Lombardo costituiva «un “canale” diretto» per la «“famiglia” catanese di Cosa nostra» permettendole di «consolidare la sua egemonia» nei confronti di altri clan. «Però il contributo più rilevante, concreto e effettivo prestato dal Lombardo all’associazione Santapaola-Ercolano» secondo il Gup, «a ben vedere, consiste nella creazione» di un «complesso sistema organizzativo ed operativo di cui facevano parte, quali componenti parimenti necessari, gli imprenditori “amici” e gli esponenti della “famiglia”, creando vantaggi di cui beneficiava anche l’associazione mafiosa». Il “modus operandi”, ritiene il Gup, era sempre lo stesso, «acquistavano terreni agricoli nella prospettiva di ottenerne la variazione di destinazione urbanistica, e poi realizzare elevati guadagni con la plusvalenza» della proprietà. Il Giudice cita l’esempio di quattro casi: il piano di costruzione di alloggi per militari Usa di contrada Xirumi, non realizzato, e tre centri commerciali, dei quali uno solo è stato costruito. In questo “contesto” il Gup Marina Rizza cita il caso di Mario Ciancio, editore e membro del consiglio di amministrazione dell’Ansa, estraneo al procedimento, indagato per concorso esterno all’associazione mafiosa, per il quale la Procura ha chiesto per due volte l’archiviazione. Il fascicolo è ancora pendente. Nella sentenza il Gup rimanda alla Procura alcuni degli atti che l’ufficio diretto da Giovanni Salvi aveva allegato al processo Lombardo. Secondo il Giudice Rizza il progetto di due affari trattati anche dall’editore «annoverava tra i soci un soggetto vicino a Cosa nostra palermitana». Il modus operandi e la presenza di elementi vicini alla mafia, osserva il Gup, fanno ritenere «con un elevato coefficiente di probabilità che lo stesso Ciancio fosse soggetto assai vicino al detto sodalizio» e in questo modo, scrive il Giudice, avrebbe quindi «apportato un contributo concreto, effettivo e duraturo alla “famiglia” catanese». LA REPLICA DI CIANCIO In una nota diffusa ai suoi legali, l’editore Mario Ciancio Sanfilippo afferma che «le valutazioni del Gup che ha condannato il presidente Raffaele Lombardo affrontano temi e argomenti concernenti la mia persona già noti da tempo al Procuratore della Repubblica di Catania». «Sorprende la gravità di una valutazione – aggiunge Mario Ciancio Sanfilippo – in ordine alla posizione di una persona estranea al processo e che non ha potuto certamente interloquire con il giudice per fornire dati e notizie che avrebbero determinato una valutazione di diverso tenore. Sarebbe stato fornito infatti ampio materiale documentale da cui rilevare il possesso dei miei terreni da oltre quarant’anni, circostanza che confligge con l’ipotesi di acquisti effettuati per lucrare lauti guadagni in combutta con ambienti mafiosi». «Non intendo subire, però – osserva l’editore – alcuna condanna senza giudizio e sono indignato per essere stato indicato come persona vicina ad ambienti mafiosi». «Ho dato mandato ai miei avvocati di affrontare immediatamente i temi sollevati dal Gup – conclude Mario Ciancio Sanfilippo – con l’unico interlocutore possibile, il Procuratore della Repubblica di Catania il quale certamente non ha bisogno di un giudice che gli dica cosa fare e al quale intendo affidare la mia persona, la mia famiglia e il futuro delle mie aziende». LA REAZIONE DI LOMBARDO «Il contenuto delle motivazioni della sentenza, a mio parere, confligge con la verità», ha invece affermato l’ex governatore Raffaele Lombardo. Dopo «un’analisi compita della sentenza emessa dal Gup», l’ex presidente della Regione annuncia che domani, alle 17.30, incontrerà i giornalisti.