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Etna sud, l’incanto dietro la porta di Monte Salto del Cane

Nel territorio di Pedara, su verso le alte quote del Vulcano, dove la sciara tocca il bosco, l’uomo pianta castagni in filari, costruisce ricoveri, e oggi tenta la carta turistica

Di Sergio Mangiameli |

L’incanto dietro porta. Ecco cos’è Monte Salto del Cane, al confine del territorio comunale di Pedara, verso le quote più elevate della Montagna, per un’escursione di prima mattina, o di un paio d’ore all’imbrunire. Prendete la macchina e portatevi davanti alla Chiesa Madre di Pedara, e qui azzerate il contachilometri (Google-map è uno studente distratto); salite verso l’Etna seguendo inizialmente “Tardaria”, poi a 3.5 Km “Etna Sud” svoltando a sinistra per Via Monte Po, e continuando fino a 10.6 Km: c’è uno spiazzo sulla destra con un cartello “Punto Base n °21 Salto del Cane”, perché siete all’interno del Parco Naturale dell’Etna (tempo trascorso dalla piazza: 15 min! Quota: circa 1400 mslm).

Scendete e camminate in direzione est, verso il bosco di castagni, poco distante, lungo una traccia segnata dai pastori, direttamente sulle “lave a lastroni” del 1634-38. Sono forme spezzate, zattere fossili di un lento movimento sul ricordo di un flusso di lava, oggi diventato sciara. Sono l’incanto che ho colto trent’anni fa, in un giorno d’autunno, nell’espressione felice di un visitatore austriaco, naturalista, che se la godeva accoccolato, quasi in animalesco contatto con la Terra, che qui si esprime essenzialmente e senza mezzi termini. La sciara tocca il bosco, il fiume di pietra è a contatto con la foglia. E l’uomo non guarda soltanto: nei secoli si adatta a vivere così. Pianta castagni in filari e ne fa bosco produttivo di legname, scolpisce un ovile incastonato tra i lastroni, mette su pietre esatte su pietre esatte e fa ricoveri, costruisce una cisterna stupenda (poi vandalizzata e infine ripresa stentatamente e solo in parte) e infine tenta la conversione di tutto in una piega turistica, con l’avvio di un piccolo rifugio, che però funziona a singhiozzo. Ma l’incanto rimane.

Monte Salto  el cane

Attraversate il margine di bosco e raggiungete la pista sterrata che corre a mezza costa, fino alla sbarra metallica, dove a lato c’è il cartello “Demanio Forestale Monte Salto del Cane”. Il passaggio pedonale permette di entrare nella parte più intima della zona. Dopo lo spiazzo della cisterna, per pochi metri seguite la pista carrabile, poi adocchiate sulla sinistra digitazioni di un sentiero che risale la china, tra le ginestre. Seguitelo e in breve vi troverete sul bordo di qualcosa che è la bocca di mezzo della “bottoniera” del Salto del Cane: una fenditura della crosta terrestre, con tre punti allineati di emissione di materiale vulcanico, di epoca storica. Si scende dolcemente all’interno e già i rumori si attenuano, si contano le api in volo, i massi singoli in frana antica, le roverelle e la ginestra endemica, e le più basse colonie di spino-santo del versante sud dell’Etna. Poi avviene il salto nell’indimenticabile incanto. La sella che separa la bocca di mezzo da quella principale è un rapimento del respiro. I bastioni lontani della Valle del Bove, i contorni originali ricchi di pioppi tremuli, querce, aceri, ginestre e faggi, le nuvole che passano silenziose quasi per non disturbare il volo della poiana, o il trotto della volpe, sono carezze all’anima, e il respiro ecco che si sospende.

Si va giù, dunque, verso l’origine di una dimenticata distruzione, verso il punto di morte, per poi scoprire al fondo, dopo timide piantine di lamponi, una sorgente incerta d’acqua e l’inizio di un tunnel in miniatura di scorrimento lavico, che la morte si è trasformata in vita piena. E allora non resta che sedersi sui licheni che proteggono le olivine, e lasciarsi andare all’istinto di sentire l’unità con quella cosa in cui ci troviamo, nel tempo che vogliamo. Certo, ci si può trovare con la necessità di scaricare gli occhi di un troppo pieno, ma anche con un sorriso leggero che ci fa credere di aver toccato per un attimo la linea che descriveva Hermann Hesse: “La saggezza non è nient’altro che una disposizione dell’anima, una capacità, un’arte segreta di pensare in qualunque istante, nel bel mezzo della vita, il pensiero dell’unità, sentire l’unità e per così dire respirarla”. E ritornare dunque a fare un respiro profondo, cullati da quest’incantevole bellezza.

sir.joe23@alice.itCOPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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