Ezio Mauro a Catania racconta il Muro di Berlino

Di Leonardo Lodato / 26 Novembre 2019

Catania – Il 13 agosto 1961, i cittadini di Berlino si svegliarono in una città divisa a metà. Al tentativo di separazione ideale, che perpetrava dal dopoguerra, si sostituiva un muro, lungo più di 156 chilometri, per quasi 4 metri di altezza. Era un’arma, non soltanto una barriera, un simbolo dell’assolutismo e non solo una trincea, una prigione ben più che una separazione. La notte del 9 novembre 1989, dopo 28 anni, la città si raduna ai due lati del Muro per salutarne il crollo, e con esso la fine di un’epoca.

Di questo, e tanto altro, parla “Berlino. Cronache dal muro”, il reading teatrale di e con Ezio Mauro, giornalista, già direttore de La Stampa e di Repubblica, in scena soltanto domani alle 20,45 alla Sala Verga, per la stagione del Teatro Stabile di Catania.

«E’ un lavoro complessivo che è durato più di un anno – spiega Mauro – che parte da un’idea giornalistica unitaria che ha preso la forma di 12 reportage che ricordano, mese per mese, l’anniversario di 30 anni fa. Tutto questo è diventato un libro pubblicato con Feltrinelli e Repubblica, poi un audiolibro, e ancora un film per la Rai, perché abbiamo raccolto voci e volti dei testimoni di questa vicenda e, come abbiamo fatto per “Cronache di una Rivoluzione”, dedicato alla rivoluzione russa, e per “Cronache di un sequestro” sul caso Moro, i miei due lavori precedenti, ne abbiamo estratto una lettura teatrale, adattando questo racconto, la narrazione della nascita del Muro e della sua caduta, ma anche di quell’incredibile 1989, denominato l’anno dei miracoli».

In un momento di grande crisi della carta stampata, la sua esperienza “multimediale” sembra la chiave di volta per reinventarsi un mestiere, per diversificare e rendere ancora viva questa professione.

«E’ il giornalismo che arriva fin qui, apre porte e sperimenta nuovi linguaggi. E in anni in cui si parla di crisi, vedere che c’è la possibilità di usare questi registri diversi in una forma che sia coerente, almeno questo mi auguro, è un elemento che fa ben sperare per il futuro di questo mestiere. Ci sono tante cose da dire, da raccontare, da capire, e ci sono vari modi di far comprendere le cose di cui si parla».

La sua è una riflessione su un Muro che non è solo quello di Berlino.

«Sì, anche perché siamo dei fabbricatori di mostri e inventori di fantasmi. Se ci fermassimo a riflettere sulla mostruosità del Muro, sul suo carattere preistorico, fuori dalla storia, pensare di fermare delle persone con una barriera fisica fatta di mattoni e cemento, filo spinato, sabbia e calce, capiremmo davvero che è qualcosa di primordiale. Dividere una città in due, separare l’Europa, cementificare la Guerra Fredda. E’ chiaro che l’idea di potere erigere nuovi muri, pensandoci un momento, appare folle, malata. In realtà, non riflettiamo abbastanza sulle esperienze che abbiamo fatto, come se la Storia non ci insegnasse nulla. E non ci rendiamo conto, soprattutto, che i muri non sono una risposta della politica alle insicurezze dei cittadini. Sono la bandiera bianca della politica, la dichiarazione che non ce la fa a governare i fenomeni attraverso i poteri che la democrazia le dà e quindi deve ricorrere ad altri mezzi».

Ritiene quel Muro una ferita nella coscienza di una certa sinistra, di allora e di oggi?

«Troppo poco, e parlo anche per me. Considero la persistenza di quel muro per 28 anni una mostruosità politico-morale e credo che sia anche la prova di un fallimento della mia generazione che ha avuto tutto il tempo, mentre manifestava per tante cose giuste, per rendersi conto e avere la coscienza di capire cosa significava quel Muro e organizzare un sit in permanente: a gennaio gli svedesi, a marzo gli spagnoli e così via, per sottolineare il rifiuto di quella misura di costrizione di massa che puntava al controllo di un Paese non attraverso il consenso ma con una misura di contenimento. La sinistra ci ha riflettuto troppo poco ed è uno degli errori di cui ha dato prova».

Ha definito la caduta del Muro un «miraggio già svanito della nuova Europa», ma quali muri teme di più oggi?

«Quelli che sono nella nostra testa, che noi eleviamo concedendoci dei linguaggi, dei giudizi e dei pregiudizi che non ci dovremmo mai permettere. Tutto questo per proteggerci da paure fantasmatiche che non hanno basi ideali ma che abbiamo ingigantito tradendo, così, quella che è una delle missioni della politica, inventata per emancipare i cittadini dalle paure, mentre oggi una sua parte rilevante, ne alimenta le paure. Sembra di sentire quei monaci che battevano alle finestre dicendoci: “ricordati di avere paura”, perché questo atteggiamento alimenta l’antipolitica con un carico di risentimento che è fatto di brace ardente. Tutto questo non aumenta di un millimetro la sicurezza dei cittadini e rischia, invece, di gettare a mare la civiltà italiana dei nostri padri e delle nostre madri che avevano, per qualche capacità oggi perduta, un elevato sentimento di responsabilità generale».

Per alleggerire un argomento fin troppo spinoso. Noblesse oblige, “The Wall” dei Pink Floyd, è diventata colonna sonora di quell’evento, la caduta del Muro. Qual è, invece, se esiste, la sua colonna sonora di quei giorni?

«La musica che facciamo sentire due volte nel corso del racconto è “Heroes” di David Bowie. Molti artisti andavano a Berlino a registrare agli Hansa Studios. Io sono andato a vedere quella finestra da cui Bowie si affacciò e vide quei due ragazzi che si baciavano “by the wall” e scrisse dei versi potentissimi: “Noi ci baciavamo come se nulla potesse accadere, i fucili sparavano sopra le nostre teste, e la vergogna era tutta dall’altra parte. Possiamo batterli ancora e per sempre, possiamo essere eroi per un giorno”. In quel concerto del 1987 che David Bowie fece a Berlino Ovest, davanti al muro, gli altoparlanti furono puntati verso Berlino Est e tutti, dall’altro lato del Muro, poterono sentire quella canzone, quel giorno, con il Muro ancora in piedi».

“Eroi per un giorno”. Parole, quelle del “Duca bianco”, da tramandare. A futura memoria.

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