Gela, sedotta e abbandonata
Gela, sedotta e abbandonata
Gela sedotta e abbandonata. Almeno così si teme. Vi ricordate Termini Imerese? Era dicembre del 2011 quando la Fiat, insalutata ospite, lasciò lo stabilimento mettendo sulla strada ben 3600 siciliani. In una disoccupazione galoppante come quella di casa nostra, era come aggiungere benzina al fuoco. Sono passati due anni e mezzo e c’è un’altra industria nazionale che si prepara, stavolta nella Sicilia orientale, a mettere sulla strada circa tremila persone (tra interni e indotto). L’Eni del fu Enrico Mattei, allora fu un sogno. Ma se il territorio da un lato otteneva lavoro, dall’altro veniva inquinato e devastato. L’Eni, dopo le promesse fatte appena lo scorso anno di un investimento di 700 milioni di euro per riconvertire gli impianti, ha pensato ora di ridimensionare tutto. Lo stabilimento, dove viene raffinato il greggio estratto dai sei pozzi gelesi, sarà con molta probabilità trasformato in un semplice deposito. Ciò significa la perdita di oltre il 50% di posti di lavoro.
Significa anche la dismissione di qualsiasi progetto produttivo, presente e futuro. Un deposito è sempre un semplice deposito, non ha alcun valore sostanziale perché lo puoi trasferire in qualsiasi momento in un’altra parte del Paese o del mondo. Ricordiamo quando molti anni fa Cossiga, allora presidente della Repubblica, arrivato a Gela, disse: questo territorio ha subito dei danni, però l’Eni è pronto a rimediare. Annunciò la costruzione di un palazzetto dello sport. Ben poca cosa, in una città dai mille problemi. Il palazzetto fu poi realizzato, ma con denaro pubblico e non dell’Eni. Ci fu anche un altro momento che coinvolse il nostro giornale: l’Eni volle che copie de «La Sicilia», il giornale più letto in quella zona, venissero inviate nelle scuole e bandì un concorso per giornalisti in erba. Ciò può significare poco, però si può capire l’attenzione della società a «sei zampe» verso la popolazione locale e, soprattutto, un piccolo segno di solidarietà per il danno causato alla salute dei gelesi. Oggi i problemi sono altri. Ma c’è sempre la stessa fame di lavoro. Sarà perché va a esaurirsi il ciclo della raffinazione; sarà la crisi economica che investe il nostro Paese; sarà la scarsa valenza della nostra classe politica; sarà perché la Sicilia non è più una mucca da mungere (quanti finanziamenti regionali Fiat ed Eni hanno ricevuto?). Il risultato è che oggi a Gela di quel sogno industriale, accarezzato per necessità non per vocazione (non c’erano altre alternative di lavoro), sono rimaste solo le macerie. E ha ragione oggi la città a ribellarsi. Non solo i lavoratori, circa tremila e cinquecento, che operano dentro e fuori lo stabilimento, ma tutta la popolazione. Dove c’è disoccupazione c’è il deserto in tutto, a cominciare dalla spesa quotidiana. Ed è ovvio che in una situazione di estrema crisi, ha il sopravvento la criminalità. E Gela purtroppo non è immune. Anzi alcuni dei boss più potenti sono nati proprio in quel territorio.
Viene rabbia a vedere che, mentre la casa brucia, alla Regione i partiti giocano a chi debba sedersi al tavolo del cosiddetto potere. Senza curarsi dei molti disoccupati che invece non sanno in quale tavola sedersi. Per un piatto di pasta, ovviamente. Lo stesso governatore Crocetta sembra aver dimenticato la sua città. Sì, ha speso parole, alcune forti, ma oltre a questo sembra non andare. La sua forza politica è talmente debole che fa fatica lui stesso a sopravvivere. Altro che Gela. Tra l’altro la crisi delle raffinerie che oggi i gelesi toccano con mano, si potrebbe estendere anche ad altre zone dell’Isola. Come Priolo e Augusta. Alcune industrie lì sono in mano a società straniere. L’esempio ultimo della Erg passata alla russa Lukoil, deve pur far temere qualcosa. In qualsiasi momento potrebbe salutare e andare via. Speriamo che non abbiano a patire lo stesso dramma di Gela. Dopo essere stati anche loro sedotti e abbandonati. E il loro territorio violentato.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA