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Il chirurgo catanese che va a caccia di tumori

Di Maria Ausilia Boemi |

Una scoperta che, dal punto di vista scientifico, si basa sulla teoria genometastatica che, esistente da anni, è stata provata per la prima volta proprio dal dott. Arena. «Il tumore – spiega – uccide perché si propaga in altri organi formando metastasi. La teoria genometastatica fa sorgere il sospetto che non si tratti unicamente di trasferimento di cellule, ma di fattori che dal tumore principale sono trasportati tramite il sangue, giungono a cellule di organi bersaglio a distanza e le trasformano. Se la teoria è corretta, mettendo il sangue di paziente con tumore a contatto con delle cellule, queste dovrebbero diventare tumorali. Feci esperimenti ma le cellule non diventarono tumorali. Ero pronto ad abbandonare tutto – io sono chirurgo, non ricercatore -, ma poi ho pensato che forse se la cellula è completamente normale non accoglie questi fattori. Allora ho indotto una mutazione nelle cellule, come avviene normalmente nella clinica di tutti i giorni. Quando ho fatto l’esperimento con le cellule “mutate”, queste sono diventate tumorali. Ma la cosa straordinaria è che sono diventate l’esatta copia del tumore da cui il sangue derivava. Questa è stata la scoperta principale. L’esperimento, ripetuto più volte, ha dato sempre gli stessi risultati». Ma non solo: «A un certo punto, mettendo un altro gruppo di cellule, identiche, a contatto con siero di paziente sano per essere sicuro che nulla accadesse, queste invece sono diventate tumorali. Come mai? O la teoria era sbagliata, o lo era il metodo, o è stato commesso un errore, o il paziente aveva un tumore senza saperlo. I suoi marcatori tumorali erano però negativi. Siccome il paziente era maschio e aveva 60 anni, gli feci allora una colonscopia: e scoprii un polipo. Mandai il pezzo operatorio al patologo che, dopo 5 giorni, mi comunicò che era benigno. Pensai quindi di avere sbagliato. Ma il patologo mi richiamò dopo 2 giorni dicendomi che si era sbagliato lui: il tumore c’era, ma talmente allo stadio iniziale che non se ne era accorto. Ho continuato a fare test su altri 50 pazienti e ho avuto gli stessi risultati. Ho quindi brevettato il test, non perché sia sicuro al 100% – per esserlo ci vogliono migliaia di pazienti – ma per proteggerlo». Il dott. Arena ha rinunciato ai diritti economici e ha posto una stringente – e clamorosa – condizione: «Il test deve essere venduto a un’azienda che lo possa rendere accessibile a tutti, al modico costo di un pacchetto di sigarette».

Ma come mai un chirurgo si è dedicato nel poco tempo libero alla ricerca oncologica? «Questa è la storia bella: mia madre Maria Antonietta Terlizzi morì a 54 anni per un tumore al colon con metastasi al fegato. Io avevo 29 anni. La sua morte accese in me questo desiderio di fare qualcosa nella lotta ai tumori: pensavo in particolare a qualche teoria alternativa. Una mattina, era il 2004, mi trovavo in ospedale e fui come folgorato da questa idea: io vidi nella mia testa la teoria, tornai a casa, scrissi tutto, mi confrontai con mio padre e mio fratello. Nel frattempo mi specializzai e nel 2007 arrivai a Montreal. Mi imbattei in una paziente, anche lei di origine siciliana: Maria Saputo, di Montelepre, affetta dalla stessa malattia di mia mamma. La sua famiglia era diventata ricchissima nel Nord America nell’industria casearia. A lei parlai di queste mie idee e la entusiasmai, ma non avevo il coraggio di chiederle un aiuto economico. Prima di morire, fu però lei a invitare il figlio Giuseppe Monticciolo a ricordarsi di me nel caso in cui, successivamente, avesse avuto piacere di donare soldi per la ricerca contro i tumori. Nel frattempo avevo cominciato a fare alcuni esperimenti, da solo e di notte nel laboratorio prestatomi da un collega, e avevo iniziato a vedere che certe cose combaciavano. Andai allora dal figlio della signora Saputo e gli dissi che per confermare la teoria mi servivano 150 mila dollari. E lui me ne diede 500 mila». Denaro col quale il dott. Arena è arrivato al brevetto MaterD, acronimo di Metastatic and transforming elements released discoverry platform elements. «Ovviamente – sottolinea il medico – MaterD potrebbe stare per madri 2, per 2 madri».

A prescindere dalla storia bella della ricerca oncologica, il prof. Arena è principalmente un chirurgo – uno dei migliori nelle tecniche laparoscopiche – e soprattutto un’eccellenza nella didattica chirurgica: «Il mio obiettivo – spiega – è insegnare con l’intento che lo specializzando diventi migliore di me». Il prof. Arena è istruttore di chirurgia di pronto soccorso alla McGill university di Montreal, ma insegna anche in Olanda, Caraibi, Paesi del Medio Oriente. Ovunque, ma non in Italia: «Io provai a tornare, per onorare un desiderio di mia madre. Proposi di addestrare in 5 anni 50 chirurghi che poi a loro volta avrebbero addestrato altre persone. Avremmo cambiato il volto della chirurgia in Sicilia. Mi risposero: “Persone come lei qui creano anticorpi, è meglio che se ne torni da dove è venuto”». A 43 anni, con circa 5.000 interventi all’attivo, «ormai – spiega – la gioia non è più operare ma insegnare. Addirittura l’università McGill mi manda gli specializzandi che vuole bocciare. Io li trasformo: per 6 mesi operano solo con me e quando tornano nel corso è come se fossero stati sempre i migliori».

Il dott. Arena non consiglia ai giovani medici di emigrare, se non per brevi periodi per fare esperienza: «Il posto migliore è sempre casa. Per chi lascia la Sicilia, nessun altro posto sarà mai chiamato casa. Io ho lasciato il mio cuore sull’Etna, vulcano di cui mi considero suddito e allo stesso tempo principe. È bene partire, però bisogna cercare poi di tornare, perché il ladro ruba quando la casa è vuota. Questa terra è molto bella e se tutte le persone intelligenti se ne vanno, gli altri se ne approprieranno». Ma va oltre: «Invece di fare partire gli specializzandi, è meglio che il maestro vada da loro per insegnare ai giovani come operare secondo le possibilità che offre la loro struttura. Insegnare a specializzandi in Canada, con metodiche e strumenti che non troveranno quando torneranno nel loro Paese, potrebbe non essere così efficace come quando io vado ad esempio ai Caraibi e adeguo il mio insegnamento a ciò che gli studenti hanno a disposizione».

Anche perché, per esperienza vissuta, il dott. Arena sottolinea che «la qualità degli studi in Italia è eccellente: è quando si deve andare a tradurre la teoria nella pratica che si forma il gap. In Italia gli studenti non possono mettere mano sui pazienti; in Canada ho studenti in Medicina che chiudono l’addome».

Allora cosa consigliare ai giovani? «Ai giovani medici consiglio di non farsi condizionare da quello che vedono nella realtà sanitaria di tutti i giorni. Dico sempre ai miei studenti che il termine dottore per il paziente è l’altro nome di Dio, perché i pazienti soffrono e l’angoscia, il dolore e la paura li avvolgono. Se il medico è compassionevole, capace e con grande cultura medica, i pazienti riescono a vedere attraverso il camice bianco la figura di Dio. Dunque, dico loro: voi dovete studiare pensando sempre alla grandezza di ciò che vi attende. Non importa quello che vedete, non importa ciò a cui assistete. Dovete studiare con questa idea in testa: dottore è l’altro nome di Dio. E, con umiltà, svolgere questo compito nella maniera più eccellente possibile. Un’altra cosa che ripeto sempre ai giovani chirurghi è che l’uomo possiede realmente una sola cosa: il proprio corpo, perché sta con lui da quando nasce a quando muore. A voi chirurghi è dato il permesso di invadere la cosa più sacra che una persona possiede. Dunque, è mio dovere insegnarvi come invadere questo tempio nella maniera più nobile e più efficiente possibile».

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