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Il Festivaldella mediocritàtra banalitàe scivoloni

Il Festival della mediocrità tra banalità e scivoloni

Carlo Conti “mero” contabile delle canzoni, Al Bano e Romina da soap opera

Di Giuseppe Attardi |

SANREMO. Il gran ritorno di Al Bano e Romina Power è il pezzo forte della prima serata del Festival di Carlo Conti. La coppia scoppiata che si riaccoppia, il passato che non passa. Buoni sentimenti e nostalgia. Che hanno un effetto calmante per una platea televisiva stressata già dalla crisi e che fugge dagli ansiogeni e ripetitivi talk show e dalla perenne ricerca di emozioni forti (vedi la vittoria, lunedì sera, di Terence Hill nella sfida con L’Isola dei famosi). E’ il festival dell’uomo comune (ma sarebbe più corretto del luogo comune), come annuncia pomposamente la Fanfare for the common man di Aaron Copland che introduce l’ingresso in scena di Carlo Conti, variante abbronzata di Pippo Baudo. Smoking blu notte, gilet e cravatta, sbriga le premesse burocratiche con professionalità, scivolando subito nella gara, che scorre a tambur battente, ma senza suscitare eccessive emozioni. Come, del resto, tutto lo spettacolo. D’altro canto, Conti non ha mai brillato per genialità, ironia, originalità. Il Festival tale e quale. Con la bionda, la bruna e la “bona” (o “Bova”?): l’emozionatissima Emma, la solita “Pippa” Arisa, la più navigata Rocío Muñoz Morales (fidanzata di Raul Bova). Effimere presenze sul palco. Il ragioniere Carlo Conti conduce come se stesse compilando un modulo bancario, con tecnica ineccepibile. Segue schemi già collaudati, popolari: Canzonissima, «50 serate qui all’Ariston», l’angolo Tale e quale show, quando da Made in Sud arriva Francesco Cicchella per imitare Michael Bublé. E poi I migliori anni della vita con lo spazio “Tutti cantano Sanremo” (ma il verbo andrebbe coniugato al passato) in cui coinvolge la megafamiglia calabrese Anania (16 figli «per opera di Dio») sulle note de Gli occhi verdi dell’amore portata dai Profeti nel 1968 e il medico catanese Fabrizio Pulvirenti guarito dal virus Ebola sottolineato da Brividi di Rossana Casale (1986). Fino all’apoteosi trash con Al Bano e Romina, che è il doppio della fanciulla che fece innamorare tutt’Italia negli anni Sessanta (eh, il tempo passa, eccome se passa), fatti uscire a tarda serata per mantenere fissa l’attenzione della platea tv su Sanremo. Rispolverano Cara terra mia, Ci sarà e Felicità facendo esplodere l’Ariston. Nostalgia e karaoke. Tra i due non c’è il bacio richiesto a gran voce come a un matrimonio. Soltanto un freddo abbraccio. Il cantante pugliese resta solo per intonare, tra inquadrature da soap opera, E’ la mia vita, la canzone con cui si presentò a Sanremo 1996 dopo la separazione dalla moglie e nella quale traccia un bilancio della vita in cui appaiono velate allusioni alla scomparsa della figlia Ylenia. Si chiude con il coro dell’intero teatro sulle note di Felicità. In tema col Festival cuore e amore, Tiziano Ferro, i cui pensierini vanno a sostituire le poesie di Petrarca nei Baci Perugina. Conquista la standing ovation dell’Ariston con un medley di suoi successi. Il ritorno alla normalità, alla moderatezza, viene messo a rischio dall’annunciato intervento di Alessandro Siani su «un Matteo». Subito in allerta Salvini. «Pare che attore napoletano Siani, pure simpatico, a Sanremo ironizzerà su #Lega e #Salvini. Con quel che costa Festival, spero faccia ridere» twittava il leader della Lega Nord poche ore prima dell’inizio della serata. Poi, durante il tg1, il comico (Siani, non Salvini) alzava la posta: «Canterò il “Pacco del Nazareno” per riappacificare Berlusconi e Renzi». Ma l’unico brivido è la cravatta viola. Il resto è una serie di banalità su Lega e terroni, crisi, cibo italiano, Brunetta, Salerno–Reggio Calabria. E scivola sulla battuta rivolta a un bambino sovrappeso seduto in prima fila, guadagnando una sonora bocciatura dal web. Forse Salvini è più bravo. Come comico, ovviamente. Stamattina per il Festival del ranuncolo, che non è una parolaccia, ma un fiore semplice, la resa dei Conti. Con l’Auditel.

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