Notizie Locali


SEZIONI
Catania 11°

Il presidente della speranza

Il presidente della speranza

Di Domenico Tempio |

L’arbitro c’è. E sarà imparziale, come ha dichiarato nel suo discorso Sergio Mattarella. Non è che Giorgio Napolitano non sia stato un arbitro, però nel clima infuocato vissuto negli ultimi anni, tra spintoni e tirate di giacca da destra e da sinistra, ha dovuto sbracciarsi per dividere i contendenti. Facendo fatica a unirli. Non aveva, certamente, la facoltà di tirare fuori il cartellino rosso, ma se la Costituzione glielo avesse permesso l’avrebbe fatto senz’altro. Il nuovo capo dello Stato adesso si augura che i giocatori lo aiutino con la loro correttezza. Ciò sarà tutto da vedere. Una cosa però sembra certa: Mattarella con la serenità del suo temperamento, in questa partita tra opposte fazioni, non si lascerà sopraffare dai giocatori rissosi. L’aver invitato Berlusconi e Grillo (quest’ultimo però ha rifiutato), al Quirinale è un segno di forza. Ci auguriamo che prevalga il richiamo all’unità del Paese. «Che è fragile – come il presidente ha riconosciuto – da generare nuove povertà, angosce, solitudine. Specie nei giovani e nel Mezzogiorno del Paese». L’aspetto più importante dell’unità è di essere veramente nazionale, cioè dal Nord al Sud. E lui, primo siciliano al Quirinale, non poteva mancare di ricordarlo. Il suo riferimento al volto solidale che deve avere la Repubblica, ci è sembrato quasi un richiamo alla realtà della Sicilia di oggi. Lo stesso discorso sulle mafie, antiche e nuove, non può prescindere dall’Isola, nella quale Mattarella ha vissuto una tragedia familiare. Della quale è cosciente portatore sin da quando raccolse il corpo di suo fratello crivellato dalle armi della mafia. E se nel già poco sorridente volto del capo dello Stato si è voluto cogliere un ulteriore segno di mestizia, è stato proprio quando il presidente Grasso, allora giovane magistrato, gli ha ricordato quel tremendo giorno del 6 gennaio di 35 anni fa a Palermo. Fu allora che il docente universitario diventò politico. Occorreva raccogliere il testimone del fratello Piersanti, presidente di una Regione che oltre a essere sporcata dalla corruzione si macchiava anche di sangue. Mafia, corruzione, terrorismo le tre piaghe del nostro Paese e non solo. L’aver rievocato l’uccisione di un bambino di due anni, ebreo, avvenuta a Roma nel 1982 davanti alla sinagoga, è servito a Mattarella per allargare il discorso all’Europa e al mondo sotto una minaccia globale dovuta all’imbarbarimento delle civiltà. Che ha portato a un drammatico esodo dai loro paesi di migliaia di migranti il cui primo approdo è stato ed è la Sicilia. E da ciò parte l’appello ad aiutare i ceti deboli di una società sempre più multietnica. Compresi i nostri giovani costretti a fuggire in cerca di quel lavoro che qui non hanno. Il discorso della speranza, che tutti noi spesso facciamo, prescinde da una retorica di comodo. Lo fa diventare credibile la sincerità che Mattarella mette nelle sue parole. Inutile, del resto, nasconderlo, ci nutriamo di speranza e se qualcuno ce lo ripete, e se questo qualcuno è un capo di Stato di fresca nomina, per giunta siciliano, bisogna pur credere. Altrimenti sarebbe la morte della speranza stessa. Come potrebbe sembrare solo di facciata il discorso sull’unità. Ma non lo è. A chiederla è proprio la nostra gente. Invitare ad andare avanti nelle riforme ne è una conferma. Per la classe politica sarà la prova del fuoco. La maggioranza, che ha eletto il nuovo capo dello Stato rimarrà tale di fronte alla legge elettorale, primo scoglio, e alle modifiche del Senato e del titolo quinto della Costituzione? Qualche dubbio rimane. E Berlusconi tornerà a sedersi al tavolo del Nazareno? Da questo si capirà se il no a Mattarella, come abbiamo già sospettato, sia stata una finzione. Quante incertezze ci portiamo dietro. Frutto di una politica levantina che non dà mai la sicurezza non solo del futuro, ma di un presente, fatto di problemi quotidiani. Li menziona lo stesso Mattarella quando si augura che «negli uffici pubblici, negli ospedali, nelle famiglie, possano riflettersi, con fiducia, i volti dei nostri concittadini»; così come nel racconto di «storie di donne e di uomini, di piccoli e anziani, con differenti convinzioni politiche culturali e religiose» trova il senso della libertà di ognuno di noi. E’ l’Italia vera. Non astratta. Quella che conosciamo ogni giorno. A Mattarella il compito di ricordarcelo sempre. Se, possibile, andando oltre alle parole, con i fatti.

COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA
Di più su questi argomenti: