La vergogna di Pantalica trasformata in “discarica”

Di Isabella Di Bartolo / 07 Dicembre 2014

SIRACUSA – «Pantalica? Una grande vergogna». Davanti alle tombe millenarie usate come discarica e agli affreschi medievali sbiaditi, Antonino De Marco, dirigente provinciale dell’Azienda regionale foreste demaniali, allarga le braccia. «Una vergogna», ripete.
Lo scenario è quello di un misero degrado che investe il sito iscritto nel 2005 nella lista Unesco, accanto alla città di Siracusa, per il suo valore storico, naturalistico, archeologico e speleologico. La Necropoli rupestre di Pantalica rappresenta infatti un tassello fondamentale per ricostruire la storia della più antica Sicilia poiché è l’emblema del passaggio tra età del bronzo ed età del ferro. I murales sulle pareti delle tombe millenarie si commentano da sé, come i resti dei picnic tra la rara vegetazione del luogo.
 
«Lo scenario è di totale abbandono – dice l’archeologo Santino Cugno che a questi luoghi ha dedicato studi e pubblicazioni – e, purtroppo, è quello a cui siamo tristemente abituati. L’ultimo sopralluogo dell’escursionista Edoardo Arioiti ha fotografato una situazione di grave degrado. Forse c’è meno spazzatura rispetto agli anni passati quando, davvero, Pantalica era ridotta a un immondezzaio, ma certo lo spettacolo è indecoroso. Non degno di un luogo “patrimonio dell’umanità”. Sono allarmanti le condizioni in cui si trovano alcune tombe antiche deturpate da scritte disegnate con bombolette spray».
 
I graffiti dei vandali mettono a repentaglio i resti della grande necropoli che, tra il verde del paesaggio, sembrano suggestivi alveari. Ma a rischio sono anche gli affreschi delle tre chiese rupestri medievali: San Micidiario, nei pressi dell’ingresso di Filiporto all’interno di un villaggio con 150 case; l’oratorio di San Nicolicchio, nel versante meridionale, e la Grotta del Crocifisso che venne anche usata come piccola chiesa. «Si tratta di tesori rupestri – dice l’archeologo – ricchi di affreschi che stanno scomparendo anche per assenza di manutenzione. Solo in una il cancello è chiuso da un lucchetto che serve a ben poco: tutte e tre le chiese rupestri di Pantalica sono facilmente accessibili e preda dei vandali».
 
Il mancato rispetto della riserva di Pantalica connota l’area archeologica e naturalistica ben prima del suo inserimento nella World heritage list. «Ma oggi certo acquista un valore più significativo – aggiunge l’archeologo – perché tra i dettami imprescindibili dell’Unesco vi è la tutela. Ma non solo: per mantenere il riconoscimento, gli enti pubblici devono garantire anche i servizi a sostegno della fruizione del sito che, oggi, sono inadeguati. Mi riferisco ai segnali stradali che sono fondamentali per raggiungere la riserva sull’altipiano ibleo. Occorrono anche più legende e in più lingue, e mancano anche le tabelle in braille come i percorsi per i disabili, ancora troppo pochi». Ma quel che manca, principalmente, è il rispetto per l’area di Pantalica che Vincenzo Consolo immaginava metafora del cammino dell’uomo.
 
Inoltre, ennesimo emblema di una gestione del patrimonio da rivedere e correggere, Pantalica è protagonista di occasioni sprecate. Lo aveva denunciato l’ex commissario Unesco, Ray Bondin, parlando dei fondi che l’Unione europea aveva stanziato per la riqualificazione del sito rimasti, però, bloccati dalle lungaggini burocratiche della Regione. Oltre 1 milione di euro per la realizzazione di nuovi percorsi, il restauro di alcuni manufatti e altri interventi volti a migliorare la fruizione del sito nella Valle dell’Anapo.
«I tempi sono stati lunghi – dice il sindaco di Canicattini Bagni, Paolo Amenta, vicepresidente di Anci Sicilia – ma abbiamo dovuto rispettare le norme. I soldi non si perderanno, faremo il possibile per avviare le opere».
 
Nessuna notizia, poi, dei fondi per la carta archeologica. I piccoli Comuni montani scelgono la strada della sinergia, seppur in salita. Ma l’incuria in cui versa il sito di Pantalica svela un disinteresse che non è solo della politica. «Questo luogo è calpestato, ma non dai turisti stranieri che lo amano – dice il dirigente regionale Antonino De Marco – e sono sempre i più attenti. Ricordo bene che quando, per la prima volta, andai a visitare Pantalica e firmai il decreto per evitare che all’interno della riserva si potesse fare il bagno, perché stavamo introducendo la specie della trota macrostigma, ci fu una vera e propria rivoluzione popolare contro me, additato come quello “straniero” reo di voler interrompere le tradizioni della zona quando, invece, il mio obiettivo era e resta quello di evitare scempi che possano danneggiare il territorio e ciò vale per tutte le aree attrezzate del Siracusa, compresa Cavagrande del Cassibile. Luoghi che noi curiamo ma che i vandali del luogo distruggono. Questo succede perché l’amministrazione regionale offre a chiunque di poter godere tutto a titolo gratuito? Forse si pensa che ciò che è gratis non vada curato? ».
 
De Marco fa cenno alle impressioni dei visitatori, specie stranieri, al termine dei tour alla scoperta di Pantalica. «I turisti si meravigliano perché non si paga un ticket d’ingresso – dice il dirigente -, perché regaliamo loro pubblicazioni e li aiutiamo durante i percorsi. Ma soprattutto si meravigliano del fatto che si trovino davanti a una Sicilia non brulla e arida, come è nell’immaginario collettivo, ma verde, amena. A Pantalica trovano un paradiso e lo rispettano. Invece, qualcun altro pensa di poter fare nel cuore della riserva le gite fuori porta con tanto di frigo portatile e lasciare pure il sacco dell’immondizia una volta concluso il pranzo; o, ancora, c’è chi pensa di potersi portare dietro il cane e si arrabbia pure quando i miei collaboratori gli dicono che no, non si può per ragioni di ecosistema e fauna. Una riserva significa che ci sono regole da rispettare e, allora, forse il problema è che non siamo abituati a rispettarle perché le consideriamo gravami e non necessità per tutelare quello che appartiene a tutti, e quindi a noi stessi».
 
Pantalica significa un turismo nuovo, ancora tutto da sfruttare, che coniuga archeologia e natura e coinvolge tutti i piccoli Comuni del comprensorio ibleo. «Sortino, Ferla e Cassaro – dice De Marco – e ancora Avola, per Cavagrande, non hanno compreso che l’unica opportunità di turismo serio è legato alle riserve che appartengono al territorio. Invece, il degrado in cui versano per lo scarso senso civico di chi calpesta la propria identità, fa emergere la solita immagine della forestale fatta di troppi uomini che fanno troppo poco dimenticando invece l’onestà intellettuale, perché come in ogni comunità ci sono persone laboriose, perbene ma anche chi potrebbe dare di più e non lo dà. Se non ci fossero stati i forestali non ci sarebbe Pantalica, non ci sarebbe Vendicari, Cavagrande del Cassibile e neanche cava del Carosello, solo per citare alcuni tesori del Siracusano che siamo riusciti a riscoprire. Tesori che il mondo ci invidia ma che noi calpestiamo. Ripuliremo, ancora, Pantalica ma la gente ci aiuti a non distruggerla».

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