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Loris, Corte conferma 30 anni a Veronica. Lei urla al suocero: «Colpa tua, t’ammazzo»

Di Mario Barresi |

CATANIA –  «Io tanto prima o poi esco. E quando esco io giuro che a quello lì lo ammazzo». La “condanna” di Veronica Panarello arriva qualche minuto dopo la condanna, «in nome del popolo italiano», a trent’anni. Confermata la pena per la madre di Loris Stival, il bimbo di 8 anni ucciso a Santa Croce Camerina.

Sono le 18,10 di ieri. Veronica, jeans e maglia trapuntata di pizzo (tutto rigorosamente in nero) ascolta la sentenza della Corte d’assise d’appello a Catania. Occhi bassi ed espressione cupa. Arriva la conferma: anche per i giudici di secondo grado è stata lei a uccidere suo figlio. Lei volge lo sguardo alla sua sinistra, nei banchi delle parti civili. C’è suo marito, Davide Stival. Accanto al padre Andrea. Che Veronica, fino all’ultimo, ha provato a trascinare nel fango di questo truce omicidio in famiglia, accusandolo di essere l’assassino per coprire una mai provata tresca amorosa fra loro due.

Trent’anni. La stessa pena della giustizia, le stesse pene dell’anima. Ma stavolta non sono sentimenti privati, da condividere al massimo con gli avvocati e i familiari presenti. C’è la stampa, ci sono le telecamere, i fotografi. Che inquadrano lo sconforto di lei. Ma anche il silenzioso sollievo di loro due. Assieme, l’uno accanto all’altro. E dev’essere stato anche questo “tradimento” dei due – il marito che vuole divorziare da lei e il suocero invano chiamato in correità – che, dopo lunghi anni di distanza e di silenzi, sembrano tornati di nuovo figlio e padre. Dall’altra parte della barricata. Uniti dal dolore, ma anche dalla sete di verità. Di una giustizia che, in quell’aula, si materializza con l’ennesima stangata per Veronica.

LETTURA IN AULA DELLA SENTENZA VD

Lei li fissa, prova a sfidarli con quelle pupille vivide. Loro rispondono. Con il silenzio di chi non ha più niente da dirle. Ed è qui che la mamma appena condannata perde la tramontana. Mentre gli agenti di polizia penitenziaria la portano fuori dall’aula, lei prima inveisce contro un giornalista (Simone Toscano di Mediaset) che prova a farle una domanda: «Vattene affanculo». E poi, alzandosi sulle punte per superare il muro delle divise, addita il suocero: «Sei contento? È tutta colpa tua! Prega Dio che ti trovo morto, perché se non quando esco ti ammazzo con le mie mani…». Una litania ripetuta anche agli agenti e al suo difensore Franco Villardita mentre la scortano fino al cellulare che la riporterà nel carcere di Piazza Lanza. «Non è giusto, non è giusto. Non l’ho ammazzato io, l’ha ammazzato lui… È lui che deve pagare». Poi, in un impeto di giustizialismo fai-da-te, l’ultima minaccia al suocero: «D’ora in poi niente sconti per nessuno. Visto che non ho avuto giustizia, me la farò da sola la giustizia. Anche se devo aspettare trent’anni, ma io prima o poi uscirò e lo ammazzo con le mie mani». Frasi che per l’avvocato «ci possono stare in un momento di grande sconforto anche se non si possono giustificare».

Dichiarazione Davide Stival VD   Dichiarazione Andrea Stival VD

No comment da parte del sostituto procuratore generale, Maria Aschettino, e del pm applicato in secondo grado, Marco Rota. Entrano in aula poco prima della lettura della sentenza, dopo aver sostenuto fino all’ultimo – nelle repliche di ieri mattina – le tesi dell’accusa: Veronica Panarello è una «lucida assassina e mendace». Il mood è stato lo stesso del processo con rito abbreviato che s’era concluso il 17 ottobre 2016 con la condanna (sempre a 30 anni) del gup di Ragusa, con una motivazione tanto dura quanto monumentale in punta di diritto.Ieri, nell’ultimo intervento nell’udienza a porte chiuse, Rota ha riaperto la finestra della «plausibilità» del movente legato alla relazione fra Veronica e il suocero, definito «potenzialmente probabile, ma non provato», eppure richiudendolo subito – quello spiffero – parlando di «devastante chiamata in correità».Per Andrea Stival, adesso, si spalancano invece le porte dell’archiviazione del fascicolo a suo carico per concorso in omicidio e occultamento di cadavere. Magari dopo le motivazioni della sentenza, attese da Villardita prima di uno scontato ricorso in Cassazione. «Sarà interessante leggerle – ammette – per vedere perché non hanno concesso le attenuanti generiche, né una sorta di semi-infermità, né una nuova perizia psichiatrica e il confronto col suocero».

Avvocato Villardita VD

C’è ancora il sole alto, in questo caldo pomeriggio d’estate. Quando Veronica, tormentandosi le ciocche dei capelli tornati più chiari, torna in carcere. Con una ragione in più per aspettare di uscirne, chissà quando. «Io quello lì lo ammazzo. Con le mie mani».

Twitter: @MarioBarresi

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