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Pd, Alfano e alleati: il “pranzo del potere” a casa Cardinale

Di Mario Barresi |

MUSSOMELI – Le misure di paragone? La prima è di tempo: «È dall’epoca della Dc di Lilluzzo Mannino che non c’era tutto ‘stu ballettu di genti ‘mportanti», rimembra il nostalgico consigliere locale in un sospiro con vista sulla tenuta che si perde all’orizzonte. La seconda misura è di spazio. Di grandezza. Di potere: «I big della maggioranza siciliana tutti assieme? Non succede manco quando viene Renzi», sussurra un dem unionista.

 Mannino e Renzi, il passato e il presente. In mezzo c’è sempre lui. Totò Cardinale da Mussomeli. Dal 2008, quando lasciò Montecitorio, un libero cittadino con l’hobby della politica, «simpatizzante del Pd», nel quale la figlia, Daniela, è deputata al posto suo. Ma, di fatto, Cardinale è il Richelieu della politica siciliana; l’unico che parla con tutti, alternando i pugni sbattuti sul tavolo alle ambasciate nelle liti più rognose. Ostetrico al parto del governo Crocetta; padrino e patron (dopo essere stato fra i fondatori di Ccd, Udeur, Margherita e Pd) di Sicilia Futura; oggi esternamente, ma non qualunquemente, renziano.

 

La sua aspirazione è «invecchiare affrancato dagli oneri della politica, a Dio, e agli amici, piacendo». Ma di amici ne ha ancora tanti. E ieri Cardinale, che fu ministro delle Comunicazioni nel governo Amato II in quota Ppi, riesce a portare a Mussomeli – ombelico (qualcuno degli invitati usa altra geolocalizzazione anatomica) dell’entroterra – il gotha del potere siciliano. Sullo stesso palco, nel “centro congressi” di casa sua, Totò piazza, come pastorelli di un presepe, pezzi di governo regionale: gli assessori Anthony Barbagallo, Vania Contrafatto, Maurizio Croce e Mariella Lo Bello; in sala, oltre a sindaci e sottogovernisti, deputati assortiti, fra cui il vicepresidente dell’Ars, Giuseppe Lupo. E Cardinale fa coabitare Rosario Crocetta (a Mussomeli da sabato sera) e Davide Faraone, con il segretario del Pd Fausto Raciti a marcarli con lo sguardo. C’è l’influente sottosegretario alla Presidenza, Claudio De Vincenti; c’è soprattutto il ministro Alfano, alla “Cardinalda”.

 Ed è proprio da Angelino («lo chiamo così perché lo conosco da quand’era ragazzino») che arrivano le parole più suadenti: «Io, senza togliere nulla agli altri, sono qui per Totò, brillante personalità politica di questo tempo, anche se ha attraversato altri tempi». Ma qual è il segreto di Cardinale, che fra i manninani fu, con Bernardo Alaimo, fratello maggiore di Totò Cuffaro e di Raffaele Lombardo? Per Alfano è «il superamento di una sindrome politico-psicologica gravissima»: quella del “lei non sa chi ero io”. Perché Totò «s’è rimesso in gioco con umiltà e abilità, rafforzando il Pd dall’esterno». Alfano fa i «complimenti a Faraone per l’operazione politica». Eppure, secondo qualche dem più malizioso, il «combinato disposto», come è di moda, fra lo scambio di amorosi sensi con Cardinale e il discorso (apprezzato) del leader Ncd «col piglio da governatore», potrebbe diventare uno scenario futuro «magari benedetto da Renzi, per risolvere il caos del Pd siciliano».

 

Per adesso, Totò, legatissimo al sottosegretario Luca Lotti che «segue amorevolmente la Sicilia», incassa le monete sonanti elencate da De Vincenti. Gli interessano le strade del Vallone, «perché ogni scaffa, è una bestemmia contro noi», sbotta Cardinale guardando Mario La Rocca, capo di gabinetto dell’assessore Giovanni Pistorio, unico assente oltre al leader dei centristi Gianpiero D’Alia. Poi accoglie Stefania Covello, ex forzista di Calabria oggi responsabile nazionale Mezzogiorno e Fondi Ue del Pd, «figlia di Franco, deputato dc amico mio così come lei è amica di mia figlia Daniela, che ha trascinato nel renzismo puro al quale io ho dovuto soggiacere…».

 Si mangia. Tutti ospiti di Totò. Nella sua fazenda, oltre all’auditorium personale, anche una riserva di caccia e un laghetto (non grande quanto quello del piccolo uomo dell’Ars) da cui prendere conigli e anguille che Cardinale cucina per gli amici. Ieri, però, l’ex ministro non è chef, ma padrone di casa. Alfano a un capotavola, accanto a lui con moglie, figlia e genero; Crocetta all’altro. In mezzo: Raciti, Contrafatto, Dore Misuraca. Il “tavolo dei romani” (De Vincenti, Covello, c’è pure Giorgio Gori) pranza prima e va via con Faraone per un impegno a Palermo. Il menu: polpette di pane («piatto povero contadino»), parmigiana, salumi e formaggi, minestra di ceci, verdure miste. Niente pasta, ma un trionfo di maiale, con tanto di testa come trofeo: arrosto, salsiccia e puntine al sugo.

 A tavola si discetta di giochi della torre e di riusciti schemi racitian-zemaniani, di grillismo e di trumpismo. Crocetta prova a conquistare la fiducia di Alfano, che risponde, da moderato, con morigeratezza. In pubblico, il ministro, «pudico nei complimenti al governatore», gli aveva già riconosciuto «il buon risultato sull’autonomia fiscale». Per ora può bastare. Niente Patto della Polpetta, giammai della Porchetta. C’è il referendum; c’è il 4 dicembre, ma soprattutto il 5. Cosa resterà di quest’album di famiglia della maggioranza sicula? Del doman non v’è certezza. Anzi, sì. Una sola: lui, Totò Cardinale da Mussomeli, ci sarà sempre. Da Mannino a Renzi. E anche oltre, «a Dio, e agli amici, piacendo».

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