Pena di morte, il 78% delle esecuzioni in Iran, Arabia Saudita, Vietnam e Iraq

Di Redazione / 10 Ottobre 2019

BRUXELLES – «Vorrei ricordare che oggi si celebra la giornata europea e mondiale contro la pena di morte. In un mondo in cui i valori e i diritti umani tendono a diventare relativi, la pena di morte è un affronto alla dignità umana che non può essere tollerato in nessun caso».

Così il presidente dell’Eurocamera, David Sassoli. «Quest’anno rendiamo un omaggio particolare ai bambini i cui genitori sono stati condannati a morte. Resto convinto – sottolinea Sassoli – che la morte inflitta dallo Stato non può mai costituire una vera giustizia. È altrettanto importante considerare i traumi che subiscono questi bambini. Ecco perché, più che mai – prosegue Sassoli – il nostro Parlamento è determinato e impegnato a difendere la dignità umana com’è sancito nei nostri Trattati. Faremo tutto il possibile per avvicinarci al giorno in cui tutti i Paesi aboliranno la pena di morte. Lo dobbiamo alle future generazioni e a noi stessi. Sono sicuro – conclude il presidente dell’Eurocamera – che questo sia il sentimento di tutto il Parlamento». 

IL REPORT DI AMNESTY NEL MONDO 

Nello studio sull’uso della pena di morte nel 2018, Amnesty International ha riscontrato che la tendenza
globale all’abolizione dell’ultima punizione crudele, inumana e degradante prosegue spedita, nonostante i
passi indietro compiuti da un piccolo numero di paesi.

In modo assai sorprendente, il numero delle esecuzioni documentate è calato del 30% e ha raggiunto il
valore più basso che Amnesty International ha registrato negli ultimi dieci anni. Questo è il riflesso di una
significativa riduzione delle esecuzioni complessive in alcuni di quei paesi che, come Iran, Iraq, Pakistan e
Somalia, sono annoverabili fra quelli che eseguono più condanne a morte. Similarmente, anche il numero
dei paesi che hanno eseguito sentenze capitali si è ridotto.

Alcuni stati, tuttavia, hanno forzato il trend generalmente positivo. La Thailandia ha eseguito la sua prima
condanna a morte dal 2009 e altri paesi hanno presentato degli aumenti nel loro totale annuale, tra questi,
Bielorussia, Giappone, Singapore, Stati Uniti d’America e Sudan del Sud. Hanno sollevato preoccupazioni
ulteriori i considerevoli incrementi nel numero delle condanne a morte comminate in alcuni paesi, in
particolare Egitto e Iraq.

Dati rari, resi accessibili pubblicamente dalle autorità del Vietnam, hanno dato conto
dell’estensione del ritorno alla pena di morte nel paese, collocandolo fra i maggiori esecutori a livello
mondiale. Permane il segreto di stato relativamente all’uso della pena di morte in Cina che, Amnesty
International ha modo di ritenere, continui a condannare a morte e a giustiziare migliaia di persone.
Sull’altro versante, alcuni paesi hanno compiuto, durante l’anno, passi in avanti verso l’abolizione totale della
pena di morte.

Il Burkina Faso ha abolito la pena capitale nel suo codice penale a giugno. Nel febbraio
2018, il presidente del Gambia ha proclamato una moratoria ufficiale sulle esecuzioni e, a settembre, il
paese ha sottoscritto il Secondo protocollo opzionale al Patto internazionale sui diritti civili e politici, avente lo
scopo di promuovere l’abolizione della pena di morte. Il governo della Malesia ha stabilito, a luglio, una
moratoria sulle esecuzioni e, in ottobre, ha annunciato la futura riforma delle leggi in materia di pena di

Il 17 dicembre, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato, con un appoggio quanto mai alto, la settima
risoluzione che chiede ai paesi che ancora mantengono la pena di morte, di istituire una moratoria sulle
esecuzioni, con la prospettiva di abolire la pena capitale. Dei 193 stati membri delle Nazioni Unite, 121
hanno votato in favore della risoluzione mentre 35 si sono espressi contro e 32 si sono astenuti. Per la prima volta, Dominica, Libia, Malesia e Pakistan hanno cambiato il loro voto e hanno sostenuto la risoluzione,
mentre Antigua e Barbuda, Guyana e Sudan del Sud hanno modificato il voto dall’astensione all’opposizione.

Sono state almeno 690 le esecuzioni registrate globalmente nel 2018 da Amnesty International, con una
diminuzione nel valore complessivo rispetto al 2017 (almeno 993). Questo dato costituisce il più basso
numero di esecuzioni che Amnesty International ha registrato negli ultimi dieci anni.3
Questa riduzione significativa è legata, in primo luogo, a valori inferiori per alcuni di quei paesi che avevano
fatto registrare la maggioranza delle esecuzioni totali negli anni passati.4 A seguito degli emendamenti alla
legge nazionale anti-narcotici, le esecuzioni di cui si ha notizia in Iran sono diminuite da circa 507 nel 2017
ad almeno 253 nel 2018, facendo registrare un decremento del 50%.

Nel 2018 il numero delle esecuzioni in Iraq e Pakistan si è abbassato a circa un terzo dei rispettivi valori del 2017, da
almeno 125 ad almeno 52 in Iraq e da almeno 60 ad almeno 14 in Pakistan. La Somalia ha dimezzato il
totale delle esecuzioni, 13 nel 2018 rispetto alle 24 del 2017. Per quanto però vi siano stati riscontrati questi decrementi, l’Iran conta ancora più di un terzo di tutte le esecuzioni documentate e il 78% di tutte le sentenze capitali sono state eseguite in solo quattro paesi: Iran, Arabia Saudita, Vietnam e Iraq. Ugualmente agli anni passati, i valori totali a livello globale non includono le migliaia di esecuzioni che Amnesty International ritiene che abbiano avuto luogo in Cina, dove i dati sulla pena capitale continuano a essere classificati come segreto di stato.

Per l’ottavo anno consecutivo, gli Stati Uniti d’America sono l’unico paese a eseguire condanne a morte nella regione delle Americhe, con 20 persone messe a morte nel 2016 (8 in meno del 2015). Questo è stato il numero più basso di esecuzioni registrato in un solo anno, dal 1991. Il tasso di esecuzioni nel 2016 è la metà di quello del 2007 e un terzo di quello del 1997.  Cinque stati americani hanno messo a morte nel 2016, rispetto ai sei dell’anno precedente. Il numero di esecuzioni in Georgia è quasi raddoppiato (da 5 a 9), mentre in Texas il dato è quasi dimezzato (da 13 a 7). Questi due stati messi insieme sono responsabili dell’80% delle esecuzioni nel corso del 2016. Alla fine dell’anno, 2.832 persone erano rinchiuse nel bracci della morte degli Stati Uniti d’America.

Complessivamente  il numero di sentenze capitali negli Stati Uniti d’America è diminuito da 52 nel 2015 a 32 nel 2016 (una diminuzione pari al 38%). Questo è il numero più basso mai registrato dal 1973. Solo altri tre paesi nella regione, Barbados, Guyana e Trinidad e Tobago, hanno emesso sentenze capitali nel 2016. Due paesi dell’area caraibica, Antigua e Barbuda e Bahamas, hanno commutato le loro ultime sentenze capitali svuotando così i bracci della morte.

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