Sgarbi lo chiamò “pizzaiolo” chiede 200 mila euro di danni

Di Redazione / 31 Marzo 2015

PALERMO – È offensivo definire qualcuno un “pizzaiolo” per esprimere una critica politica? È tutto qui il senso di una controversia che oppone Vittorio Sgarbi con l’avvocato Massimo Punzi, marito del sottosegretario Simona Vicari (Ncd). La qualifica di “pizzaiolo” sfuggì a Sgarbi nel pieno di un’infuocata campagna elettorale a Cefalù (Palermo) nel 2012. Punzi reagì citando il critico in giudizio e chiedendo un risarcimento di 200 mila euro. Il caso sarà valutato dal giudice Teresa Ciccarello del tribunale di Termini Imerese nell’udienza del 22 aprile.  

 

Sgarbi non si limita a difendere il suo “diritto di critica anche attraverso la caricatura”. A sua volta, con una domanda riconvenzionale, chiede di essere risarcito perché avrebbe ricevuto da Punzi messaggi da lui ritenuti offensivi.  

 

Tutto è cominciato nel marzo 2012 quando Simona Vicari invitò il critico nella sua casa di Cefalù per la presentazione della sua candidatura come sindaco per uno schieramento di centro-destra. La proposta non ebbe seguito. Di quella serata Sgarbi ha poi ricordato, in un comizio in piazza, che il marito della senatrice Vicari preparò alcune pizze. E per questo lo definì un “pizzaiolo”. Anche perché, aggiunge ora, “non sapevo quale attività svolgesse”.   “Ma comunque – puntualizza ancora il critico – non credo che sia offensivo chiamare qualcuno pizzaiolo. Mi conforta in questo convincimento la raccolta di 300 mila firme a sostegno della candidatura della pizza come patrimonio immateriale Unesco. Dunque, un bene dell’umanità”.  

 

Quanto alla richiesta di 200 mila euro Sgarbi sostiene che rivela una “carenza del senso delle proporzioni: la mia era una caricatura adoperata in un confronto politico, e nulla più”.

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