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L'“AUTOCOCCODRILLO”

Sono stato fortunato, ho avuto un bel mestiere: scrivere fa bene e gli articoli allungano la vita

Di Tony Zermo |
Un giorno d’estate del 2013 Tony salì in redazione con la stampata di un pezzo: «È l’articolo per quando morirò, l’ho scritto io così vi tolgo dall’impiccio». Quel pezzo – in verità non un gran pezzo – l’abbiamo sempre nel cassetto. Lo tiriamo fuori adesso, un anno dopo la sua morte, così Tony è come se fosse di nuovo in redazione.

Quando muore un giornalista si chiede a qualche suo collega di scrivere il “coccodrillo”, e siccome è a volte un compito disturbante scrivere elogi di un altro giornalista, allora l’epitaffio me lo faccio da me. Questo anche perché ho avuto una carriera lunga e fortunata, ma non facile da ricordarsi a distanza di così gran tempo. 

Sono entrato a “La Sicilia” a vent’anni nel settore dello Sport guidato da Gigi Prestinenza con a fianco Candido Cannavò e Pippo Garozzo. La mia carriera giornalistica è andata avanti di dieci anni in dieci anni. Dopo i primi dieci ho lasciato lo Sport perché mi sono chiesto se valesse la pena dedicarci un'intera vita. L’occasione mi fu data da un incontro con Marcello Mastroianni reduce da “La dolce vita” e venuto ad Augusta a girare un film. Gli feci una lunga intervista che a quanto pare piacque perché poco dopo (1963) l’editore Domenico Sanfilippo mi mandò poco più che trentenne alla strage del Vajont assieme al collega Nino Milazzo. Poi nel ’68 ci fu il terremoto del Belice e ancora Sanfilippo mi scelse per andare in provincia di Agrigento, mentre Cannavò andò in quella di Trapani.

Saltabeccando di caso in caso, compreso quello del mostro di Marsala del 1971 che mi diede spunto per il mio primo e unico libro edito da Flaccovio, ho preso in pieno il filone del terrorismo che durò per tutti gli Anni Settanta (’74 sequestro del giudice Sossi a Genova, processo di Catanzaro per la strage di piazza Fontana, strage del treno di Natale a Bologna e nel ’78 rapimento e uccisione di Aldo Moro), il tutto inframmezzato con altre vicende come l’arresto e il processo di Enzo Tortora, il terremoto del 1976 in Friuli e quello del 1980 in Irpinia. Sono stato l’unico giornalista italiano a fare questi tre grandi terremoti.

Premetto che allora fare l’inviato era gratificante perché i lettori diciamo che pendevano dalle tue labbra essendo la tv alle prime armi. Ed era un mestiere bellissimo perché ti consentiva di viaggiare, di trovarti sul posto degli eventi e di fare la bella vita. Finito il decennio del terrorismo di sinistra e di destra, è cominciato il grande filone della mafia con l’uccisione del presidente Mattarella nel gennaio 1980, poi Dalla Chiesa e una lunga serie di magistrati, fino ad arrivare al maxiprocesso a Cosa nostra e alle stragi in cui caddero Falcone e Borsellino, magistrati di cui serbo un bel ricordo perché erano disponibili anche con me che non ero un giornalista palermitano.

Ho fatto tante altre cose, ho messo su una bella famigliola con un bravo figlio che fa pure lui il giornalista, due nipoti eccezionali, Leonardo e Alessandro, sono stato presidente per una ventina di anni del Club della Stampa allora in auge. Ero un tuttologo, nel senso che mi occupavo di tutto, e scrivevo di festival del cinema e di processi, di “gialli” cittadini e di mondiali di calcio (Italia 90, Usa 94 e France 98), nel ’91 ho fatto anche la prima Guerra del Golfo tenendo come base Dubai, che allora era poco più di un villaggio. Ho fatto anche Sarajevo quando ancora i serbo bosniaci sparavano lungo la strada principale dove c’era il mio albergo e la sola stanza libera che ho trovato era esposta ai colpi.

Ringrazio tutti perché ho avuto un bel mestiere, una vita alla grande, una famiglia che mi ha voluto bene malgrado le mie assenze e ho avuto un amico come Mario Ciancio che mi ha voluto accanto a sé per più di 70 anni consentendomi di tenere un costante rapporto con i miei lettori. A volte gli articoli allungano la vita. COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA