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Teresa Principato su Messina Denaro: «Fare “terra bruciata” attorno a lui non funziona»

Di Carmela Marino |

 Roma – «Matteo Messina Denaro è abituato a tutti gli artifici della latitanza: dopo un arresto e dopo che le attenzioni degli investigatori si soffermano su una persona, immediatamente cambia strada e investe su qualcosa di diverso». Lo ha detto il procuratore aggiunto della Repubblica presso il tribunale di Palermo, Teresa Maria Principato, in audizione in Commissione Antimafia.

«Messina Denaro in questi casi immediatamente cambia strada – ha spiegato Principato – va all’estero, non gli mancano le occasioni e i luoghi in cui rifugiarsi in tutta sicurezza. E’ una caratteristica di questo latitante: il fatto di procedere a degli arresti, la strategia della cosiddetta «terra bruciata” per lui non è adeguata, l’ho capito da un pò di tempo». 

«Abbiamo proceduto all’arresto di quasi tutti i familiari di sangue di Messina Denaro – sorella, cugini, cognati, tutti coloro che gli erano vicini – io pensavo che questo potesse suscitare nell’uomo una reazione ma l’uomo non è normale, è molto freddo. Dopo otto anni di studio è quasi normale che si ragioni come se lo si fosse conosciuto». Così Teresa Maria Principato, procuratore aggiunto presso il tribunale di Palermo, sulla caccia a Messina Denaro, davanti alla Commissione parlamentare Antimafia.  Altro momento della strategia per la cattura del boss è quello dei provvedimenti di confisca, «essendo lui così profondamente legato al denaro e ai suoi interessi”: i provvedimenti di sequestro e confisca superano milioni di euro. «Pensate – ha detto il magistrato – che solo la catena della Despar è stata oggetto di confisca per 850 milioni».

«A parte gli arresti e i provvedimenti – ha proseguito – abbiamo operato con delle azioni di disturbo concordate nei confronti di persone ben delineate che anche in passato lo avevano in qualche modo agevolato o che sapevamo vicine a lui, con una azione assillante, anche perché (siamo a dicembre 2014) sono riuscita in una operazione: firmare un protocollo con il Ros e lo Sco per una indagine comune. Anche il nipote del cuore, Francesco, destinato a essere il suo successore, che già a violenza lo aveva eguagliato se non superato, è stato arrestato e sottoposto al 41 bis. Tutto questo per ottenere un affievolimento del consenso nei confronti di questo latitante. Era intollerabile – ha sottolineato Principato – che lo Stato rinunciasse alla cattura di un latitante che dal ’93 sfugge agli organi dello stato e rappresenta per Trapani una primula rossa, da imitare, ammirare, verso la quale provare una certa connivenza». 

«Questi sistemi – ha proseguito Principato – hanno sortito dei risultati, anche se non quelli sperati. Si è rotto il muro di omertà che tradizionalmente ha circondato la famiglia di Matteo Messina Denaro. Ha cominciato – pur non richiedendo di essere inquadrato come collaboratore – il cugino Lorenzo Cimarosa che dopo l’inizio di una timida collaborazione (era stato già detenuto tre anni per favoreggiamento) ci ha aiutato ad inquadrarlo, a capirne la struttura mentale. Lo ha definito un parassita, un personaggio che si nutriva del lavoro degli altri senza dare niente in cambio».

Il magistrato ha poi raccontato che vennero messi in carcere altri familiari: «e tutti pensarono ci dovesse essere una reazione» da parte di Messina Denaro. «A quel tempo io fui minacciata – ha spiegato il magistrato – di essere destinataria di una partita di tritolo, che coincise con l’arresto dei suoi familiari ma soprattutto con l’ablazione di tanto denaro che per lui è estremamente importante. Non c’è stata solo questa conseguenza: hanno iniziato a collaborare altre due persone. Anche questo è stato un momento di rottura del muro di omertà. Inoltre dalle intercettazioni che sentivamo emergevano vere e proprie lagnanze nei confronti del latitante. Due persone si chiedono in sostanza: se non pensa alla sua famiglia, come può pensare ai trapanesi?»COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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